Basilicata: “Idrocarburi nelle acque vicine al pozzo Eni”. Il reportage di Basilicata24 e del Tenente Di Bello
Claudio Buono
Idrocarburi nelle acque vicino al Pozzo Eni. Questo quanto emerge dall’articolo-inchiesta fatto dal sito d’informazione basilicata24.it (che nei giorni scorsi ha ricevuto pesanti minacce, a loro la nostra vicinanza e solidarietà per l’eccellente lavoro che svolgono). Basilicata24 ha raccontato della nuova ed inquietante scoperta del tenente Giuseppe Di Bello. Ecco l’articolo (foto in pagina di Basilicata24)
I nuovi rilievi sono stati eseguiti il 13 dicembre dello scorso anno. I risultati di laboratorio, parlano di manganese e metalli pesanti a Montemurro, accanto ad un pascolo, nelle acque di un terreno di contrada La Rossa. Trecento metri più sù c’è il pozzo petrolifero Costa Molina 2 dell’ Eni. Agenti chimici e animali al pascolo. “Siamo stati sul posto mentre pioveva, quindi ci aspettavamo che le sostanze chimiche dovevano diluirsi e attenuarsi”, premette il tenente Giuseppe Di Bello, del Movimento ‘Liberiamo la Basilicata’. E invece a metà dicembre Di Bello ha raccolto acque più ‘sporche’ che mai. I rilievi, nella contrada La Rossa di Montemurro (Potenza), sono stati eseguiti in collaborazione con le associazioni Punto 0, Ola e Oipa. Le acque prelevate, sono state poi consegnate al laboratorio Sca (Servizi chimici e ambientali) di Brindisi. “Quelle” analisi, “sulle acque e non sui fanghi, già analizzati in precedenza con la professoressa Colella, ci danno un risultato chiaro e incontrovertibile”, spiega Di Bello. Diclorometano, idrocarburi, zinco, tallio, cromo: questi gli agenti chimici riscontrati. Metalli pesanti. “Sostanze” che non si producono in natura. “Li vicino ci sono pecore al pascolo e acque che scorrono a valle”, tiene a precisare Di Bello. “Dove scorre quell’acqua la terra si brucia”. Aggiunge il tenente della polizia provinciale: “Lo scorrere delle acque a valle sposta il problema, che non è circoscritto ai fanghi già riscontrati in precedenza, e riguarda un inquinamento diffuso che potrebbe entrare nella catena alimentare e danneggiare le generazioni future”. Parliamo di “sostanze chimiche e cancerogene”, alza la voce Di Bello. Che poi aggiunge un altro dettaglio. “Abbiamo notato che lì dove scorrono quelle acque sporche non cresce più nulla. Si brucia anche l’erba”. A 300 metri c’è un pozzo dell’Eni. Riscontri e rilevazioni che preoccupano, quelle del tenente Di Bello. Però occorre anche precisare il luogo in cui ci troviamo. Siamo a Montemurro, area di perforazioni dell’Eni, il Texas petrolifero della Val D’Agri. E in particolare ci troviamo 300 metri al di sotto del pozzo di reiniezione Costa Molina 2. E’ questo l’elemento più preoccupante dell’intera vicenda. In passato, quando la professoressa Albina Colella, geologa dell’Università di Basilicata, aveva mostrato la presenza di ‘solfati’ nella stessa contrada, affioranti da fanghi e acque superficiali, l’Eni aveva precisato che “non c’erano legami con la presenza del vicino pozzo Costa Molina 2”. L’Eni spieghi perché affiorano “idrocarburi” in terreni e acque. Ora, dopo le nuove rilevazioni del tenente Di Bello e dei Movimenti ambientalisti, sarà il Cane a sei zampe a dover chiarire. “Da dove provengono questi metalli pesanti se l’unica presenza nella zona, 300 metri più sù, è il pozzo Costa Molina 2 dell’Eni?”. Questo l’interrogativo del combattivo Di Bello. Ma c’è un altro interrogativo, ancora più inquietante, a cui l’Eni deve rispondere. Già da alcuni anni, infatti, nel lago del Pertusillo, che si trova un chilometro più a sud del pozzo in questione, sono state rilevate “tracce” di idrocarburi. Il ‘lago’ rifornisce di acqua potabile la vicina Puglia. Il rischio è alto. Gli “idrocarburi” nelle acque del Pertusillo, per la cronaca, sono stati rilevati dall’Agenzia Regionale all’Ambiente, grazie ad un progetto con l’Istituto superiore di Sanità. Il perché di quelle “tracce” inquietanti in un’area di estrazioni petrolifere, resta un mistero fitto. Invece di pretendere nuove estrazioni, nuovi pozzi, lasciandosi terra bruciata dietro le spalle, l’Eni sciolga questi enigmi. La Basilicata non è una riserva di sfruttamento nazionale. Oltre il petrolio c’è il diritto a sapere. C’è il diritto alla salute di migliaia di cittadini. Cittadini lucani, non sudditi dell’Italia affamata di energia.