Per almeno tre anni e mezzo Eni avrebbe smaltito in maniera illegale i rifiuti prodotti dal Centro oli di Viggiano, in combutta con alcuni imprenditori locali, tra cui il presidente di Confindustria Basilicata, uno dei “signori” della monnezza lucana, e il vertice di Sorgenia, la società energetica del gruppo De Benedetti. E’ il sospetto degli inquirenti dell’Antimafia potentina, Laura Triassi e Francesco Basentini, che ieri mattina hanno fatto “irruzione” nell’impianto della compagnia del cane a sei zampe nel capoluogo petrolifero della Val d’Agri. In contemporanea è spettato ai militari del Noe dei carabinieri notificare in Italia e all’estero 11 avvisi di garanzia nelle mani di altrettanti indagati per traffico illecito di rifiuti. Tra di loro c’è anche il responsabile del distretto meridionale dell’Eni, Ruggero Gheller, assieme ai vertici di Tecnoparco Valbasento, una società misto pubblico-privato nata per offrire servizi alle imprese dell’area di Pisticci (dall’altra parte della Regione), e diventata terminale di gran parte dei rifiuti prodotti dalle estrazioni di petrolio in Basilicata. Si tratta dei potentini Faustino e Michele Somma, padre e figlio, che è anche presidente degli industriali lucani. Poi ci sono il direttore Nicola Savino, e alcuni dei nomi che ritornano più spesso nelle società del loro gruppo, come Giulio Spagnoli e Nicola Savino, con un noto costruttore materano, Giovanni Castellano, titolare di un’impianto per lo smaltimento di fanghi industriali a Guardia Perticara, e già arrestato a dicembre dell’anno scorso nell’ambito di un’altra inchiesta dell’antimafia lucana sulla gestione dei rifiuti urbani del bacino “Potenza centro”. Quindi Gaetano Santarsia, commissario del consorzio per lo sviluppo industriale di Matera, presente in Tecnoparco con la quota di maggioranza relativa, e l’ex amministratore delegato di Sorgenia Massimo Orlandi, dimissionario soltanto da luglio dell’anno scorso. L’inchiesta risale al 2010 ma nel fascicolo del pm ci sarebbero già i risultati preliminari di una consulenza affidata nei mesi scorsi a Paolo Rabitti e Alfredo Pini, due ingegneri che hanno lavorato di recente anche per la procura di Rovigo alle prese con l’inquinamento della centrale Enel di Porto Tolle. Ieri mattina erano a Viggiano con i carabinieri e il pm Triassi per effettuare dei campionamenti dei liquidi contenuti nelle vasche del Centro oli dell’Eni, che ogni giorno partono di lì con delle autocisterne diretti a Tecnoparco, per essere smaltiti. In gergo si parla “acque di produzione”, vale a dire un cocktail della componente acquosa separata dal greggio destinato alla raffineria, più tutte le sostanze utilizzate per estrarlo e prepararlo all’immissione nell’oleodotto, in direzione Taranto. Di solito le compagnie petrolifere tendono a liberarsene reiniettando il tutto, o quasi, pozzi già esauriti. Ma in Basilicata ce n’è soltanto uno, e non mancano le preoccupazioni a riguardo data l’alta sismicità dell’area. Perciò gran parte, decine di migliaia di tonnellate all’anno, va all’esterno dell’impianto, e arriva a Tecnoparco, dove subisce alcuni trattamenti prima di finire nel Basento. I dubbi degli investigatori si concentrano sul tipo di trattamento effettuato e i codici rifiuto assegnati a quei liquami in partenza da Viggiano, dove non esisterebbero apparecchi in grado di eliminare tutte le tracce di idrocarburi al loro interno. Fatto sta che a giugno dell’anno scorso le indagini commissionate dal Comune di Pisticci hanno evidenziato un superamento proprio delle soglie di contaminazione da idrocarburi nei sedimenti del fiume a valle degli scarichi di Tecnoparco. Nei prossimi giorni i campioni prelevati verranno sottoposti a degli esami in laboratorio per verificare la loro composizione chimica. (Fonte: IL QUOTIDIANO DELLA BASILICATA – Articolo di Leo Amato)