VA bene che la politica ormai da troppo tempo è sinonimo di inciucio e malaffare, ma non si può gridare al complotto o vedere il male dappertutto, soprattutto quando il male non c’è. E’ il caso del primo atto da ministro dei Beni culturali di Dario Franceschini che destina oltre 135 milioni di euro a 46 interventi di restauro dei beni culturali in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Basta leggersi per intero le cinque pagine del decreto n.5 del 2014 del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo per sgomberare il campo da qualsiasi congettura sulla presunta esclusione della Basilicata da questi fondi. Nessuna dimenticanza, nessun dolo. Il capo di gabinetto del ministro (il lucano Gianpaolo D’Andrea, nella foto in basso a destra) non era distratto e il ministro Franceschini non ci ha voluto fare un dispetto. Il decreto in questione finanzia “roba vecchia” e non perchè si tratta di recupero di aree di attrazione culturale, ma perchè assegna risorse al Programma operativo interregionale (PoIn) “Attrattori culturali, naturali e turismo” datato 2008. Tempi in cui il Pil della Regione Basilicata era ben al di sopra del 75% della media comunitaria per poter entrare a far parte della cosiddetta “Area convergenza”, quella cioè che comprende le regioni in ritardo di sviluppo e consente di accedere a progetti volti a promuovere condizioni che favoriscano la crescita e fattori che portino a una convergenza reale per gli Stati membri e le regioni meno sviluppate. Sorprende, perciò, l’interrogazione che con estrema sollecitudine è stata presentata al Ministro dei Beni Culturali dall’onorevole di Forza Italia, Cosimo Latronico, per chiedere “quali sono le motivazioni che hanno escluso la regione Basilicata dal provvedimento del Ministero che attraverso un