“I rischi segnalati dalla Svimez nel suo recente Rapporto di quella che definisce una “durevole esclusione” (giovani e donne) e di conseguenza di perdere “capitale umano” (dalla formazione, alle Università, alla qualità del lavoro) mitigano il cauto ottimismo diffuso dall’Istat circa una timida ripresa, solo perché gli inattivi (coloro che non lavorano e non cercano occupazione), tra cui donne e giovani, scendono perché aumenta la ricerca del lavoro e sminuiscono l’euforia del Premier Renzi”. E’ il commento di Rossella Claudia Dente a nome delle Donne della DC-Libertas Basilicata. “L’evoluzione del mercato del lavoro più favorevole alle donne nella crisi nel nostro Paese – sottolinea ancora – è principalmente spiegata in termini di “segregazione” settoriale di genere, e questo risultato sarebbe connesso al fatto che gli uomini sono tradizionalmente concentrati nei settori più colpiti dalla crisi degli ultimi anni, quali il settore bancario/finanziario e i settori manifatturiero e delle costruzioni. Ciò sembra configurare un’emergenza essenzialmente “qualitativa”. I risultati quantitativi relativamente migliori rispetto agli uomini, come ci spiega il Rapporto Svimez, sono infatti largamente ascrivibili ad incrementi delle occupazioni precarie e nelle professioni non qualificate, che rafforzano anziché ridurre la tradizionale “segregazione” di genere che caratterizza il nostro mercato del lavoro. Il bilancio della crisi, per la componente femminile, dunque, non va guardato in termini meramente quantitativi, ma in termini di maggiore precarietà e minore qualità del lavoro e di mancate nuove opportunità e accessi che non può essere certamente il bonus di 80 euro a figlio a superare. Tutto ciò porta ad una conclusione: negli ultimi anni, sono aumentate sia le donne occupate (ma non al Sud) che le disoccupate, e si è ridotto il numero delle donne inattive. Questo dato sembra fornire una certa evidenza di un possibile effetto “lavoratore aggiunto” attivato dalla crisi. Tuttavia, non va dimenticato che l’Italia, con quasi la metà delle donne fuori dal mercato del lavoro – continua Dente – presenta uno dei più bassi tassi di partecipazione femminile alle forze lavoro in Europa. Inoltre, le dinamiche più recenti, infatti, hanno ulteriormente aggravato una condizione, specie per i giovani, che si può riassumere nei seguenti termini: le già basse opportunità di accesso al mercato del lavoro si sono ridotte, la durata della disoccupazione è aumentata, il processo di transizione dalla scuola al lavoro si è ulteriormente allungato, e si è ampliato (non solo per i giovani, anche per le donne) il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Tali caratteristiche, e specialmente alcune di esse, peculiari del mercato del lavoro meridionale, con la crisi si sono diffuse (almeno in parte) all’intero territorio nazionale. La “fotografia” dei giovani tra i 15 e i 34 anni mostra come l’Italia abbia quote superiori a tutti gli altri paesi di giovani solo in formazione e decisamente ancora più elevate di giovani Neet. Per converso, si rileva come l’Italia si caratterizzi per le quote più basse di occupati in formazione e di solo occupati (con l’eccezione di Grecia e Spagna). A ben vedere, però, è evidente come i valori così negativi dell’Italia siano sostanzialmente ascrivibili alle regioni meridionali, mentre le regioni del Centro-Nord presentano valori tutto sommato in linea con quelli degli altri principali paesi, sia pure in tendenziale peggioramento”.