La necessità di una vera politica di prevenzione del territorio, che non può prescindere dalla fondamentale attività di presidio e tutela degli operatori agricoli, soprattutto nelle aree marginali: è la sollecitazione della Cia lucana dopo i dissesti, le alluvioni, i danni provocati nelle scorse settimane nell’area sud della provincia di Potenza e in zone del Materano dalle nuove calamità naturali e alla vigilia dell’avvio della nuova programmazione dei fondi comunitari (Psr e Feasr) per il sessennio 2014-2020. Per evitare il ripetersi di continue emergenze maltempo, è sempre più evidente che il territorio della nostra regione, così come sostenuto nella “Carta di Matera”, deve essere “messo in sicurezza”, senza ulteriori indugi da parte della politica – sottolinea la Cia-. Non prevenire, infatti, è già costato al Paese 22 miliardi di euro negli ultimi vent’anni. Solo per riparare i danni causati da frane e alluvioni. Diventa chiaro, quindi, che tocca invertire la rotta e, invece di gestire le conseguenze drammatiche del dissesto idrogeologico, investire sulla prevenzione e mettere in campo azioni organiche di tutela e conservazione del suolo. Primo passo per la Cia: l’istituzione di un coordinamento permanente tra Regione, Anci, Autorità di Bacino, Consorzi di Bonifica, organizzazioni professionali agricole per la definizione del Contratto di Area Vasta di difesa-idrogeologica, assegnando agli agricoltori compiti di manutenzione senza spendere un euro nel senso che gli stessi compenserebbero con gli oneri dovuti allo Stato e in particolare ai Consorzi di Bonifica che, come è noto, non sono in grado nemmeno di garantire la pulizia ordinaria dei canali. In questo senso, il ruolo degli agricoltori è fondamentale. I terreni coltivati, infatti, insieme a quelli boschivi, giocano un ruolo essenziale per stabilizzare e consolidare i versanti e per trattenere le sponde dei fiumi, grazie anche alla capacità di assorbimento e di riduzione dei tempi di corrivazione, aiutando così a scongiurare frane e cedimenti del terreno – evidenzia la Cia-. Ogni forma di coltivazione obbliga a un corretto regime delle acque e questo comporta una sensibile diminuzione dell’esposizione dei versanti al rischio di smottamenti e dei fondovalle al pericolo di allagamenti. Purtroppo però, la cementificazione costante e non sempre regolamentata ha già cancellato negli ultimi vent’anni oltre 2 milioni di ettari di terreno agricolo a ritmi vertiginosi (oltre 11 ettari l’ora, quasi 2.000 a settimana e oltre 8.000 al mese) e questo processo molto spesso non è neppure stato accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque – ricorda la Cia-. Si è lasciato spazio all’incuria, al degrado, all’abbandono da parte degli agricoltori, la cui opera di presidio e di manutenzione è invece prioritaria, soprattutto nelle aree marginali di collina e di montagna. Per questo ora bisogna fare un deciso passo avanti: servono nuove e adeguate politiche di prevenzione del territorio, a partire dalla legge per il contenimento del consumo di suolo, a cui affiancare una puntuale azione di vigilanza e controllo delle situazioni a rischio che deve coinvolgere gli operatori agricoli. “Gli agricoltori –afferma il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino- devono esercitare un ruolo di primo piano nella difficile impresa di tutela del territorio. Gli strumenti esistono e si attuano tramite le convenzioni tra le amministrazioni locali e le imprese agricole, che in un’ottica di sussidiarietà possono esprimere multifunzionalità e pluriattività”. Secondo Scanavino, insomma, “occorre porre immediato riparo e lavorare in tempi veloci per costruire un sistema ambientale realmente sostenibile, valorizzando il ruolo essenziale dell’agricoltura quale volano di riequilibrio territoriale, produttivo e sociale”.