Vietri di Potenza e la devozione a Sant’Anselmo
Un documento d’archivio e l’ethos di una comunità
a cura di don Vito Serritella
La missione del Santo è scoprire “il punto di intersezione dell’eternità con il tempo” (T. S. Eliot) – È anzitutto doveroso ringraziare gli organizzatori del convegno per avermi dato la possibilità di partecipare a
1. Fede e cultura
Molto spesso la fede viene pensata come qualcosa di astratto o di intellettualmente superiore, riservato a poche persone per la comprensione teologica. L’annuncio del Vangelo non è mai stato esente da un rivestimento culturale. Già all’inizio dell’avvenimento cristiano, i Vangeli e ancor prima le Lettere di Paolo sono stati scritti in un determinato contesto culturale (quello ebraico, palestinese), poi le Chiese del Nuovo Testamento hanno incontrato la filosofia e la cultura greca, successivamente sono state contaminate dal pensiero romano, fino ad incontrare la cultura dei popoli germanici. Pertanto, non si dà fede senza una riformulazione espressiva data in una cultura, con tutto ciò che comporta nella sua ambiguità, ossia nella sua ricchezza o nella sua zavorra storica. Si danno, quindi, una Chiesa, un Vangelo e una cultura. Se è vero che la fede si dà in una cultura, è ancor più vero che la fede ha prodotto cultura, civiltà. Anzi, il dramma di oggi, già segnalato da Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II, è che si è prodotta una separazione fra fede e cultura. Cosa si intende per cultura? Dobbiamo in questa sede considerare il concetto di
2. Pietà e religiosità popolare
Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e sono un luogo teologico: la pietà popolare è anche ‘mistica popolare’, è un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, purché non ci si fermi alle espressioni ma si raggiunga la ‘res’ dei valori che la animano: giustizia, solidarietà, fraternità, condivisione, coscienza civica. Occorre distinguere, anzitutto, alcuni termini:
– “pii esercizii” sono quelle espressioni pubbliche o private della pietà cristiana che, pur non facendo parte della Liturgia – definita invece per sua natura ‘loghikè latreia’, ‘Opus Divinum’ – , sono in armonia con essa, rispettandone lo spirito, le norme, i ritmi; inoltre dalla Liturgia traggono in qualche modo ispirazione e ad essa devono condurre il popolo cristiano (cfr. DPP, 7);
– “devozioni” sono le diverse pratiche esteriori (ad esempio: testi di preghiera e di canto; osservanza di tempi e visita a luoghi particolari, insegne, medaglie, abiti e consuetudini), che, animate da interiore atteggiamento di fede, manifestano un accento particolare della relazione del fedele con le Divine Persone, o con la beata Vergine nei suoi privilegi di grazia e nei titoli che li esprimono, o con i Santi, considerati nella loro configurazione a Cristo o nel ruolo da loro svolto nella vita della Chiesa (cfr. DPP, 8);
– “pietà popolare” designa le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura (cfr. DPP, 9);
– “religiosità popolare” indica, infine, un’esperienza universale: nel cuore di ogni persona, come nella cultura di ogni popolo e nelle sue manifestazioni collettive, è sempre presente una dimensione religiosa (cfr. DPP, 10).
Molte tesi storiografiche hanno analizzato il fenomeno della pietà e religiosità popolare e si sa che in questi casi un nome al posto di un altro indica una tesi al posto dell’altra. Tutti conoscono gli studi in Basilicata di Ernesto De Martino pubblicati nel libro Sud e magia del 1959: l’autore cerca di descrivere la struttura delle tecniche magiche e la loro funzione psicologica, in più “vuol indicare i numerosi raccordi, sincretismi e compromessi che legano la bassa magia extracanonica con i modi di devozione popolare e con le stesse forme ufficiali della liturgia”8. Secondo la prospettiva storiografica di stampo marxista di De Martino9, “la magia lucana comunica con i temi fondamentali del culto cattolico, con i sacramentali e i sacramenti, e infine con lo stesso sacrificio della messa, attraverso una continuità di momenti che, sempre potenzialmente, segna un graduale accostarsi al cuore della religione cattolica”.
Ricordiamo, ancor prima, Carlo Levi, nel suo Cristo si è fermato a Eboli del 1945, che descrive nel suo confino ad Aliano e Matera un popolo “serrato nel dolore, in un mondo chiuso, eternamente paziente […] in una terra senza conforto e dolcezza, in un’immobile civiltà, […] in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso” (excerpta). Secondo lo studioso Marino Niola, si può parlare a buon titolo del fenomeno del patronato fin dal IV secolo come un tratto caratterizzante della società italiana che riflette identità, culture e tradizioni “di cui la religione appare un fattore di
La riduzione della pietà a sola teoria della pietà sembrerebbe a tutti assurda e iniqua quanto la sua riduzione a psicologia. Pertanto, non possiamo “vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori”.
I 400 anni sotto il patrocinio di Sant’Anselmo Martire: il senso del sacro nella modernità e nella postmodernità
La società occidentale è interessata dal processo moderno di secolarizzazione che estende la razionalità procedurale, di distinzione dal sacro, a tutti gli ambiti e settori della vita. La modernità era caratterizzata da una visione antropocentrica, dalla criticità (nel senso kantiano) soggettiva. La postmodernità è la fine delle grandi narrazioni, è il pensiero debole che dice ‘Addio alla ragione’ (Feyerabend). La religione scompare dall’ambito pubblico (eccezion fatta per le Chiese istituzionali) per ritrovarsi nell’ambito privato della vita. Non è un caso che la domanda di senso o di sacro non sia, paradossalmente, diminuita né diminuisce (e nemmeno potrebbe), ma “continua a inviare segnali vari dal subconscio umano verso la superficie della società: magia, superstizione, religione popolare, nuovi movimenti religiosi”16. Al di là delle espressioni strutturalmente ambigue del sacro quando non sono vagliate e confermate da una Rivelazione aletica, anche nei mutamenti della società contemporanea dell’incertezza o della liquidità, l’universo religioso si mantiene intatto: “in Occidente la Chiesa ha effettuato una specie di fusione fra il culturale, il religioso e il cristiano”17. Il Santo Patrono è – come sostiene il già citato Niola – “una forma particolarmente ravvicinata e rassicurante del sacro che, soprattutto nella religiosità popolare, si esprime essenzialmente nella forma del santo. Tale slittamento da sacro a santo trova nella narrazione agiografica un ulteriore dispositivo di localizzazione che, soprattutto nel caso del patronato, fa della figura del protettore il simbolo principale dell’identità civica”18. Può sembrare strano, ma non tanto, che in Italia, il Paese dei mille campanili, sia anche quello delle (quasi) mille religioni. Pur essendo saldamente quella cattolica la religione professata della stragrande maggioranza della popolazione, sono, infatti, per la precisione, 836 le denominazioni religiose presenti in Italia, con regolare sede legale secondo quanto emerso dalla ricerca condotta dal Centro studi sulle nuove religioni (Cesnur), la cui ultima edizione19 di riferimento è quella del 2013.
Ciò che è propriamente ‘religioso’ sta su un crinale sottile tra il versante magico-superstizioso e quello gnostico-esoterico e si caratterizza per tre elementi costitutivi: libertà, verità e gratuità.
La nostra idea di religione (per quanto debba sempre evitare il rischio di una visione che implica uno status quo, una deresponsabilizzazione della persona e un determinismo fatalista) è convergente con quanto il Filosofo del linguaggio L. Wittgenstein scrisse nel suo Tractatus logico-philosophicus del 1921 nella tesi 6.52 che riporto: “Riteniamo che, anche se tutte le possibili domande scientifiche vengono risolte, i problemi della vita non sono ancora stati toccati affatto. Certamente, non vi è quindi nessuna domanda rimasta, e proprio questa è la risposta” (traduzione nostra). Senza il mistero, senza il senso del mistero, non si dà esperienza religiosa. Il mistero è qualcosa che interpella, è
Siamo partiti riconoscendo sia il senso della cura che la comunità, espressa dal popolo e dalla sua cultura, ha verso i propri figli, sia il ‘nomos’, la legge dei Padri, che dà prospettive di libertà e di evoluzione, di crescita; abbiamo visto, poi, che la Tradizione è tenere acceso ‘il fuoco’, togliendo la cenere che la storia deposita come incrostazione. Nel bellissimo romanzo di Cormac McCarthy, La strada, un uomo, anzi un padre, e un bambino viaggiano attraverso un mondo ridotto in cenere, un mondo post-apocalittico. Essi trascinano con sé, in un groviglio di strade senza origine e dentro una natura ridotta a involucro, tutto ciò che – nel nuovo equilibrio delle cose – ha ancora valore: un carrello del supermercato col cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia e una pistola per difendersi dalle bande dei predoni per sopravvivere.
Vi leggo le ultime battute24:
Quella notte il bambino dormì vicino al padre e lo tenne abbracciato, ma quando al mattino si svegliò il padre era freddo e rigido. […]
Arrivava qualcuno. […] (questi disse:, ndr)
Era tuo padre?
Sì. Era il mio papà. […]
Penso che dovresti venire con me.
Tu sei uno dei buoni? […]
Come faccio a sapere se sei uno dei buoni (chiese il bambino, ndr)?
Non puoi. Devi fidarti.
Tu porti il fuoco?
Io porto che?
Il fuoco.[…]
Cosa? Se porto il fuoco?
Eh.
Sì. Portiamo il fuoco (corsivo nostro, ndr).
Dopo quattro secoli, anche noi dobbiamo portare il fuoco che ci è stato consegnato: “Il cristianesimo è per noi un fatto divino ed è un fatto nella storia”25.
E solo quelli capaci di ascoltare chi è venuto prima di loro sono i veri custodi delle generazioni future: “la società non è un contratto tra i viventi e basta, è un accordo tra chi vive, chi è stato e chi ci sarà”26.
Da un archivio cartaceo, dobbiamo custodire, ora, nell’archivio del cuore e della memoria i frutti delle generazioni che ci hanno preceduto senza fare apoteosi, ma guardando umilmente ai ‘segni dei tempi’ che cambiano e che ci chiedono nuove energie per trarre, da uno stesso tesoro, di storia, di cultura, di fede e pietà popolare, “cose antiche e cose nuove” (Mt 13,52).
Grazie per l’attenzione e auguri a tutti per l’anno che ci accingiamo a vivere e celebrare