I Giovani sono il “vivaio” da coltivare per far crescere il Paese: è la parola d’ordine lanciata dall’Expo2015 dall’Agia-Associazione Giovani Imprenditori Agricoli e dalla Cia con iniziative che hanno visto a Milano tra i relatori Rudy Maranchelli, Presidente Agia Basilicata e componente del Gruppo Agia Europa. A Maranchelli è stata affidata una comunicazione sul tema della cittadinanza europea e il ruolo del dialogo con le istituzioni europee. I giovani, per livello di preparazione e per apertura mentale – ha sottolineato – oggi possano essere considerati potenzialmente la fascia di popolazione maggiormente in grado di vivere compiutamente la dimensione della cittadinanza europea sviluppatasi fino ad oggi e valutarne meglio le possibilità ed opportunità future. Di fatto però, essi, ancora troppo spesso si trovano in condizioni tali da dover necessariamente ancora essere inclusi tra le categorie particolarmente vulnerabili, su cui ricadono maggiormente i costi di quell’Europa che ancora non si è invece saputa realizzare. In particolare per i giovani italiani, l’acquisizione di una piena cittadinanza, intesa come esercizio dei diritti che da essa derivano sul piano formale, non avviene al raggiungimento dei requisiti di età stabiliti per legge: sul piano sostanziale si allunga sempre di più il periodo di permanenza dei giovani in una fase di “transizione”, intesa come mancanza di autonomia e passaggio dalla dipendenza dal nucleo famigliare di provenienza a una condizione di autonomia economica, abitativa, lavorativa, sociale. Anche le istituzioni europee dovrebbero quindi contribuire a promuovere l’abbattimento delle barriere per l’accesso al credito come uno dei passi fondamentali per favorire l’inclusione sociale e la piena realizzazione del cittadino Tra le proposte del presidente lucano dell’Agia: creare un “Fondo di Garanzia” per la copertura parziale del rischio d’insolvenza dei progetti che richiedono un finanziamento al fine di consentirne una migliore bancabilità e rivitalizzare i distretti produttivi locali attraverso nuove idee imprenditoriali ed un uso mirato dei fondi strutturali, ivi incluso per le iniziative volte a sviluppare la coesione sociale e la solidarietà tra le generazioni, favorendo così il networking locale tra mondo della formazione e sistema produttivo/imprenditoriale. Dunque Giovani come la forza viva per costruire un cambiamento profondo nel modello economico verso uno sviluppo armonico e sostenibile. Non è un progetto ambizioso, ma –è stato evidenziato all’Expo nelle prime giornate di presenza della Cia – la rappresentazione della realtà costruita con un impegno costante. Mai come in questo momento l’agricoltura è percepita dagli italiani come un valore da difendere e da rimettere al centro dello sviluppo. Lo ha rilevato uno studio del Censis in collaborazione con Cia significativamente intitolato: “Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura”. Ebbene bastano pochi dati estratti da questa analisi per confermare come agricoltura & giovani non siano più antitetici, ma anzi che gli “under 35” vedono nei campi un valore da tutelare e una prospettiva di lavoro. Del resto -come afferma il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino, che da anni si batte per un’agricoltura multifunzionale- “nelle nostre aziende, se sarà restituita centralità al settore primario e se soprattutto ci sarà una forte integrazione di filiera e una visione dell’agricoltura come motore di ricerca, come produttore di turismo, come attore della tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale del Paese, siamo in grado di creare in cinque anni oltre 100.000 posti di lavoro”. Occorre ripartire da qui, ad esempio dal dato certificato dal Censis secondo il quale per il 27,2% dei nostri connazionali, e molto di più tra i giovani (41%), il legame con la dieta mediterranea e i prodotti agroalimentari di eccellenza del “made in Italy” è un fattore di orgoglio, superato soltanto dal patrimonio artistico e culturale (66,9% dei giovani). Ma non basta. Si deve considerare che di fronte al desiderio espresso da un proprio figlio o nipote di lavorare in agricoltura, ben l’85% degli italiani consiglierebbe loro di seguire la propria volontà. E che l’agricoltura sia percepita come un valore è confermato dal fatto che il 39,7% degli italiani, specialmente quelli del Centro (44,5%), è convinto che l’Italia possa superare la crisi affidandosi all’agricoltura e all’agroalimentare. Se questo è il contesto, guardando ai giovani si scopre che complessivamente un italiano su due (50%) coltiva un orto, e tra i giovani la quota è persino più elevata (51,2%), anche se in buona parte lo fa saltuariamente (34,9%); ancora di più sono coloro che nutrono la passione per il giardinaggio (70,1%). Ed ecco che il rapporto con l’agricoltura diventa meno sporadico e si converte in voglia di “intraprendere”. Infatti oggi le imprese agricole “under 35” sono in crescita costante e segnano importanti mutamenti: i giovani prendono in affitto le terre per espandere le dimensioni aziendali, oltre un quarto di loro segue coltivazioni biologiche, quasi tutte le imprese “under 35” seguono protocolli di ricerca e risultano fortemente innovative anche in virtù dell’alta qualificazione degli imprenditori. Sono queste imprese il volto nuovo dell’agricoltura che è orientata alla tutela della biodiversità, al mercato, alla ricerca e all’integrazione di filiera e che poggia su un alto livello di qualificazione professionale. Sempre dalla ricerca Censis-Cia si evince che dal 2010 sono nate quasi 117 mila nuove attività, di cui 106 mila in ambito agricolo e quasi 11 mila in quello agroalimentare. I due settori insieme hanno rappresentato l’area di attività prescelta dal 10,1% degli imprenditori che hanno avviato un’azienda negli ultimi tre anni. E se si osserva l’anzianità delle imprese agricole e agroalimentari, la quota di quante sono nate dopo il 2010 è pari al 14,2%; mentre nell’agroalimentare il dato sale al 18,1%. Sono stati quasi 17 mila gli “under 30” che hanno avviato un’impresa agricola a partire dal 2010. Il che significa, che su 100 start-up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell’agroalimentare, il loro contributo alla creazione di nuova impresa è arrivato al 18,3%, mentre in agricoltura è stato del 14,9%. Guardando ai settori agricoli e agroalimentari in cui si sono concentrate le nuove iniziative imprenditoriali, l’86,7% ha riguardato le coltivazioni agricole, permanenti nel 30,2% dei casi e non permanenti nel 37,3%. Nel 9,7% si è trattato di nuove attività legate all’allevamento, mentre nel 9,2% di agroalimentare. Tra le attività più gettonate spiccano la coltivazione di cereali, legumi da granella e semi oleosi (quasi 24 mila nuove aziende, pari al 21,7% del totale delle aziende avviate in agricoltura dal 2010 in poi), coltivazione di ortaggi, meloni, radici (13 mila), coltivazione di uva (12 mila), coltivazioni miste di cereali (11 mila) coltivazioni di frutti oleosi (quasi 10 mila), coltivazioni associate all’allevamento (6 mila). Da segnalare anche le quasi 5 mila nuove imprese di produzione di prodotti di panetteria freschi e circa 3 mila di floricultura. In più, se tra gli imprenditori con più di 40 anni, la maggioranza (38%) ha al massimo la licenza elementare, e il 31,2% quella media, tra i giovani imprenditori agricoli il livello medio di istruzione cresce sensibilmente. Tra i 25-39enni, il 45,3% è in possesso di un diploma di scuola superiore e l’11,2% ha una laurea. E tra quanti decidono di intraprendere l’attività agricola prima dei 25 anni, ben il 65,3% ha un diploma superiore e il 5,2% è già laureato. E questo provoca un effetto trascinamento e attrazione. Tra 2009 e 2013, mentre diminuisce del 13,8% il numero degli immatricolati nelle università italiane, passato da circa 294 mila a 253 mila (41 mila in meno), aumenta di misura quello degli iscritti alle facoltà collegate al settore primario: +43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9% per scienze e tecnologie alimentari, +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali.