Confcommercio: “Basilicata sempre più disconnessa, il ritardo infrastrutturale penalizza il sistema locale”
Claudio Buono
Il 62% delle aziende lucane ritiene che il ritardo infrastrutturale penalizzi il sistema locale in modo determinante rispetto al Nord-Est; i livelli di soddisfazione più bassi vengono mediamente espressi dalle imprese più piccole che sono, in genere, quelle più polverizzate sul territorio (in termini di localizzazione) e che, quindi, si trovano, non di rado, a dover operare in aree in cui l’accessibilità è molto limitata. Sono le indicazioni di Confcommercio Imprese per l’Italia nella «giornata dei trasporti e della logistica» contenuto ne Report realizzato dall’Ufficio Studi confederale. Un appuntamento, intitolato non certo casualmente «l’Italia disconnessa», nel quale – sottolinea Fausto De Mare, presidente Confcommercio – si evidenzia che è soprattutto la Basilicata ad essere “disconnessa” dal resto d’Italia e d’Europa per effetto degli indici di dotazioni infrastrutturale nelle province di Potenza e di Matera e complessivamente più bassi del Paese e agli stessi livelli di regioni “sottosviluppate” di altri Paesi europei. Con riferimento ad imprese concorrenti localizzate in altre parti del Paese, le imprese della Basilicata – come conferma lo studio Unioncamere-Istituto Tagliacarne – avvertono che i vincoli infrastrutturali locali hanno scavato un solco competitivo profondo ed ampio rispetto alle imprese del Nord Italia, specie rispetto a quelle del Nord Est. Riguardo una generale soddisfazione dell’intero assetto infrastrutturale, si sottolinea come le aziende della Basilicata, esprimano giudizi abbastanza “severi”, prevalendo (in una scala di valutazione che va da 1 a 10, dove 1 è il livello di soddisfazione minimo) voti bassi (da 1 a 4 nel 36,3% dei casi) rispetto a valori più elevati (da 8 a 10 nel 9%). Pur tuttavia, la maggioranza delle aziende esprime valutazioni medie (voti da 5 a 7), segno questo che indica probabilmente che le imprese, entro certi livelli, si sono “adattate” alle caratteristiche delle infrastrutture della loro area di immediata prossimità, imparando a convivere con le caratteristiche positive e negative dell’assetto infrastrutturale. Le imprese medio-grandi, invece, sono tendenzialmente più ottimiste in quanto si concentrano in prevalenza nelle più importanti aree industriali della regione che sono maggiormente servite, in termini di collegamenti, rispetto alle zone interne e montane. In tale contesto, va però sottolineato come appaia particolarmente critico l’atteggiamento delle imprese più dinamiche (ad esempio quelle export-oriented), che necessitano più delle altre di una logistica atta a consentire una maggior rapidità di movimentazione delle merci per poter essere portate in tempi brevi sui mercati internazionali. Il traffico merci in Italia – evidenzia Confcommerio – è finalmente in ripresa: dopo dieci anni di calo, nel 2014 è finalmente tornato il segno più (+0,5%), mentre nel 2015 e nel 2016 la crescita sarà dell’1,6%. Eppure i problemi del settore continuano ad essere evidenti, anzi c’è addirittura l’imbarazzo della scelta. Tra i tanti salta agli occhi un evidenze problema di concorrenza, determinato anche da regole ambigue e da scarsi controlli, a scapito degli autotrasportatori italiani: tra il 2003 e il 2013 la quota delle merci entrate in Italia trasportate da operatori dell’Europa orientale è cresciuta di addirittura il 600% e supera ormai il 47%, mentre era meno del 7% nel 2003. La quota degli autotrasportatori italiani si avvicina, invece, al 15%, quando nel 2003 era pari a quasi il 33%. Ma non si può certo trascurare altre storture che sanno di autolesionismo, come il fatto che tra il 2000 e il 2012 gli investimenti nei trasporti sono sceso del 47% (da 20 a 10 miliardi) o che nei nostri centri urbani si continui a viaggiare “a passo di lumaca”, con una velocità media è di 15 km/h, la stessa di fine ‘700… Come se ne esce? Serve una cura drastica che – sintetizza De Mare – Confcommercio ha declinato in cinque proposte: creazione del Registro internazionale dell’autotrasporto; individuazione dei porti strategici, sviluppo dell’intermodalità dei collegamenti terrestri e potenziamento delle Autostrade del Mare; apertura di notte dell’Alta Velocità al trasporto merci tramite la realizzazione della “metropolitana italiana delle merci”; trasporto su ferro dei Tir che arrivano via mare nei nostri porti dal Mediterraneo e che trasportano merce destinata all’estero; avvio di una strategia nazionale in favore dell’accessibilità e della mobilità urbana. Mancano le scelte politiche e la prospettiva di un sistema: per questo l’Italia non è connessa al mercato internazionale. Perché in questi ultimi anni, anziché prevedere un disegno strategico, si è optato per interventi episodici. E perché tutti hanno fatto finta di non capire che una burocrazia inefficiente e troppe carenze tra le modalità di trasporto, aggiunte alla maggior competitività di altri Paesi determinata dai minori costi, non potevano che portare a una frenata dello sviluppo del Paese, con la perdita di quote di traffico per le nostre imprese a vantaggio dei vettori esteri. Se a questo si aggiunge una forte delocalizzazione – conclude De Mare – il fallimento è totale.