Nei primi sette mesi del 2016 le ore autorizzate di cassa integrazione in Basilicata sono state poco meno di 2,5 milioni (1,7 milioni di straordinaria, 560mila ordinaria e 98mila in deroga), per un totale di 2.040 posti di lavoro salvaguardati dalla cig e con una differenza del 47,1 per cento rispetto a gennaio-luglio 2015. Ma attenzione – avverte la Uil lucana citando i dati del settimo rapporto cig UIL-Servizio Politiche attive e passive del lavoro – i dati risentono certamente della riforma dell’istituto iniziata con la Legge 92/12 che ha previsto la completa scomparsa della cassa in deroga dal prossimo gennaio 2017, con forte contrazione dei tempi di richiesta e delle risorse disponibili, sia di quella più recente contenuta nel Jobs Act. Difficile, viceversa, sostenere che la riduzione di richieste di cassa integrazione, sia attribuibile ad una ripresa del tessuto produttivo ed industriale. Inoltre, tra giugno e luglio si assiste ad una vistosa contrazione della cassa integrazione nel commercio (-41,9%,) a cui segue l’edilizia (-21,7%) e industria (-18,2%), mentre aumentano le richieste nell’artigianato (+51,7%). Da tenere in forte considerazione il possibile effetto “restrittivo” dei nuovi criteri di autorizzazione sia per la cassa ordinaria che per quella straordinaria. Infatti, con il Jobs Act, non solo si limita la durata temporale della cassa integrazione (massimo 2 anni per cigo e cigs) ma, soprattutto, si restringono i parametri che consentono l’autorizzazione e, ancora più preoccupante, aumenta il costo per le imprese in maniera significativa con il rischio che, in molti così, le aziende optino per la scorciatoia della riduzione del personale. I numerosi tavoli aperti al Mise – dichiara Carmine Vaccaro, segretario regionale Uil – continuano a consegnarci un Paese attraversato da ricorrenti crisi aziendali, più o meno complesse, da nord a sud, dal settore industriale a quello della rete distributiva, passando per i servizi. Tra l’altro il tema delle aree di crisi complesse necessita di interventi per garantire, laddove possibile continuità occupazionale, oppure misure di sostegno al reddito anche oltre i limiti massimi previsti dalle norme, unitamente alla presa in carico da parte dei centri per l’impiego e all’offerta di misura di politiche attive mirata alla riqualificazione e rioccupazione. Inoltre, nel nostro Paese mancano decisioni circa l’impegno di risorse significative in nuove tecnologie, nella ricerca di soluzioni innovative nei processi produttivi e in nuovi prodotti da immettere sui mercati interni e internazionali. Per questo – aggiunge Vaccaro – è importante riproporre anche in Italia una nuova politica industriale imperniata sulla Comunicazione della Commissione Europea “Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione”. Essa rappresenta il seguito di una delle “iniziative faro” annunciate dalla strategia “Europa 2020” e definisce un nuovo quadro di riferimento per lo sviluppo di una politica industriale europea moderna ed integrata; indicando una serie di azioni ed interventi che dovranno essere messi in campo nei prossimi anni, con interventi sia orizzontali (ricerca, innovazione, infrastrutture, internalizzazione), sia settoriali. Al contempo, va reso immediatamente operativo il documento della “Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente” che individua cinque aree di intervento, su cui orientare il “sistema Paese” e le risorse sia nazionali che europee, previste per il periodo 2014-2020: aerospazio e difesa; salute, alimentazione e qualità della vita; industria intelligente e sostenibile, energia e ambiente; turismo, patrimonio culturale e industria della creatività; agenda digitale, smart communities e sistemi di mobilità intelligente. In ultima analisi, quindi, dobbiamo individuare e realizzare un progetto di crescita produttiva e occupazionale: come farlo? Occorre, in primo luogo, ridisegnare una politica dei “fattori” o, in altri termini, un progetto che sappia favorire e rilanciare quelle precondizioni utili, da un lato, ad attrarre investimenti nel nostro Paese e, dall’altro, a favorire lo sviluppo del nostro apparato produttivo. Da questo punto di vista è necessario concentrarsi sulla competitività dei territori e rimuovere i freni agli investimenti e allo sviluppo. Altrettanto importante è poi il rilancio del marchio “Made in Italy”, ovvero il “fatto in Italia”, al fine di valorizzare tutte le eccellenze del nostro Paese: dal turismo alla moda; dall’agroalimentare all’automotive; dall’arredamento all’elettronica; dalla ceramica all’aereoaspaziale”.