Tra gli omaggi culturali sopraggiunti ultimamente sulla nostra scrivania ce n’è uno in particolare che ha destato la nostra curiosità. Si tratta di un libro intitolato: “Il diritto è bello ma … il rovescio lo è ancora di più”, edito dalla casa editrice ‘YOUCANPRINT’ (2017). Esso è stato scritto da Donato Santoro, avvocato penalista originario di Filiano (Pz), attivo presso il Foro di Roma e docente alla LUIRS. Approfittando sapientemente della polisemia del lemma ‘diritto’, l’autore dà il meglio di sé per rivelare al lettore gli aspetti meno noti della giustizia italiana, atavicamente lenta e talvolta kafkiana. Il prof. Santoro, in questo testo di 294 pagine, scritte in un registro linguistico medio – alto, smette la toga ufficiale, trasformandosi in avvocato del … diavolo. E lo fa attraverso una ‘explanatio per argumenta exemplarum’ che traduce il linguaggio ermetico, codificato, astruso che usa il codice penale italiano. Dopo una lunga biografia in funzione di incipit, l’autore entra nell’agone giudiziario partendo dal capitolo 1 (pag.15): ‘Le direttive della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Tribunale di I grado, spesso e volentieri violate e disattese dai tribunali’. Si tratta di un titolo che è tutto un programma, che basta da solo a descrivere il tema trattato. Nel cap. 2 (pag. 44), intitolato semplicemente: ‘ Giustizia’, si fa una distinzione tra i vari tipi di giustizia, appunto: distributiva, ontologica, legale, commutativa. A seguire, troviamo i paragrafi dedicati alla ‘Natura della pena nella giustizia italiana’; ‘Il problema della funzione della pena (la pena come emendo del reo, come controspinta alla spinta criminosa); ‘La sospensione del processo con messa alla prova e il perdono giudiziale per i minorenni’ e ‘La riabilitazione, art. 179 C. P (…)’, paragrafo in cui si fa un ulteriore distinguo tra: delinquenti abituali, professionali, per tendenza (pag. 78). Il cap. 3 s’ intitola: ‘ La testimonianza: dovere e rischi che si corrono a volte, nel dire la verità’ (sic!). Un monito da tenere sempre in mente! Gli altri paragrafi si svolgono disquisendo sulla mafia, del rapporto tra essa e la politica, delle sue attività, origini e funzione, con un accenno all’informazione televisiva di oggi, nel mondo che cambia, dove si avverte il lettore sui rischi di fake news. ‘Le forze di polizia e l’ordine pubblico’ chiudono questo capitolo, ponendo l’accento sulla necessità che queste forze siano solo al servizio del cittadino e delle istituzioni, non per altri scopi. Singolare è il titolo dato al 4° capitolo (pag.110), trattandosi di un manuale giuridico, ma l’apparenza spesso inganna. Bisognerebbe leggerlo per intero il paragrafo dal titolo: ‘Il sesso e gli sviluppi normativi dalla nascita della Costituzione ad oggi’ per capire che il nostro C. P, dagli artt.527 al 529, punisce i delitti che offendono il pudore e l’onore sessuale. Nello specifico: “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni (…)”. A proposito di questo reato, il prof. Santoro non manca di evocare sentenze emesse negli anni per punire gli effetti perversi del pansessualismo di certi spettacoli ‘somministrati’ in determinati locali notturni. Tra gli atti contrari alla pubblica decenza, puniti dal C. P (art. 726) l’autore annovera certi gesti ‘apotropaici’ come la linguaccia, il dito medio, il gesto dell’ombrello ecc. Il capitolo 5 si occupa delle “Liti bagatellari”, ossia “cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio (…). Ma ciò che sorprende di più, del C. P italiano è il fatto che “la gravità di un reato, a prescindere dalla visione personale o soggettiva, si può misurare in base alla ‘quantità’ di pena per esso prevista (…)”. Da cui discende che la rapina è più grave del furto perché è punita con pene più severe. Ma se andiamo all’art. 731 del C.P notiamo subito che, non sempre, il sillogismo regge. Infatti, mentre qui si dice che la legge punisce: “(…) chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore omette, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare” de facto, poi, il reato di non mandare i figli a scuola prevede una pena massima rappresentata da una sanzione di appena 30 euro, che per oblazione si riducono a 10 (sic!). Nelle ultime pagine, si passano in rassegna sentenze bizarre, prima di criticare i costi della politica ed i privilegi delle varie caste, come quelli dei giudici della Suprema Corte di Cassazione et al. In cauda venenum, l’arguto giurista affronta il grave fenomeno degli errori giudiziari reiterati (pag.183 e segg.): negli ultimi 50 anni, in Italia, sono stati incarcerati circa quattro milioni di innocenti! Infine, non mancano le frecciate ad Equitalia circa la liceità di certe cartelle di pagamento. Unico neo di questo utile vademecum giuridico: i refusi, inevitabili nella scrittura al computer, denotano l’assenza di un editor addetto al ‘repulisti’, in seno alla casa editrice. Ma ciò non inficia la comprensione dell’opera, la cui lettura, purtroppo, corrobora la sensazione comune che, in Italia, viga una certa aleatorietà processuale, per cui non sempre vince chi ha ragione, bensì chi ha un avvocato migliore. E la pena non è mai certa.
Prof. Domenico Calderone