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Facebook, WhatsApp, Twitter e Instagram. A chi fanno bene i social media?

Con la vendita di circa 90 milioni di ‘identità’, relative ad altrettanti fruitori della rete, alla Cambridge Analyitica, da parte di Mark Zuckerberg, è riesplosa nel mondo la polemica circa la pericolosità degli iponimi di Internet, in primis Facebook, che coinvolge ben 2 miliardi di utenti al mondo. Un coinvolgimento attivo e passivo che attraversa tutte le categorie sociali ed i rapporti interpersonali di quasi tutte le fasce di età, esclusi i neonati e, forse, gli ultranovantenni. Cosicché, alla pirateria informatica bisogna ascrivere: il condizionamento degli elettori e delle borse finanziarie, il fishing; la minaccia economica alle banche centrali attraverso le cripto-valute  (bitcoin etc.); la propalazione di fake news, l’organizzazione di attentati cruenti (gli start per le stragi in Francia, infatti, partivano dal Belgio); gli insulti e l’istigazione all’omicidio ed al suicidio (caso ‘blue whale’ a danno di ragazzine adolescenti, costrette a tagliarsi le vene etc.). Ma il cahier de doléances è ancora più ampio se pensiamo anche all’ansia da notifica, da condivisione e da caccia ai ‘like’ che spesso sfocia in litigi familiari, grazie al ‘grandissimo fratello’ di G. Orwell, attraverso il quale tutti sanno tutto di tutti: abitudini, preferenze, debolezze e punti di forza, malattie, inclinazioni, gusti sessuali e gastronomici, e finanche le future intenzioni! Ma l’evoluzione è costantemente ‘en marche’, un ‘work in progress’ infinito. Insomma, l’interazione e-social è sempre più ricca di sorprese, tutt’altro che piacevoli, tant’è che non siamo sicuri neppure al supermercato, dove la fidelizzazione ha un carattere più subliminale, che passa per la ‘carta fedeltà’: uno strumento d’indagine prezioso per le aziende produttrici di beni di consumo, al costo di pochi centesimi di sconto per il cliente. Certo, esistono anche i (pochi) lati positivi, ancorché rischiosi, della ‘rete’, ma si tratta di esigue comodità che non bastano a compensare i danni sociali provocati: adescamento e fuga di minori, che gettano le famiglie nell’angoscia e nella disperazione; lo spionaggio coniugale ed il tradimento sentimentale; le truffe romantiche etc. La convivenza con i social media è sempre più difficile e dispiace che anche la televisione pubblica enfatizzi ed ‘istighi’ all’uso di Facebook e delle altre ‘app’: trastulli pervasivi pericolosi, molto spesso rivelatisi dei veri e propri moltiplicatori di odio con scelta selettiva delle vittime. A questo proposito vale la pena fare mente locale sugli ultimi gravi casi di cyber- bullismo aggressivo e violento a danno di studenti e docenti, cinicamente filmati con gli impietosi cellulari e, poi, diffusi in rete, con conseguenti effetti emulativi crescenti. Ma il vaso di Pandora elettronico, duole dirlo, non contiene solo questo, e i suoi mali fuoriescono anche a nostra insaputa, quando meno ce lo aspettiamo. Lo testimoniano i furti di password tramite la posta elettronica, i twitter o gli acquisti on line, che lasciano impronte digitali indelebili, a disposizione di chiunque, benintenzionati o malintenzionati. Le famose app (meglio il plurale apps), apparentemente gratuite e benefiche, regalate da falsi filantropi, in realtà sono delle applicazioni che servono a ‘profilarci’ per rivendere poi ad altri i dati sensibili acquisiti larvatamente, oltre a creare nuovi disoccupati, sostituendo il lavoro umano. Infine, la ‘tecnopatia’, o web-dipendenza, alla base dell’insonnia e del sonnambulismo dei facebooker e dei twittatori, che sono operativi specialmente di notte, si è rivelata perniciosa non solo per l’unità familiare, ma anche per il sistema scolastico- educativo, prima vittima delle stragi grammaticali della lingua italiana, propulsori dell’analfabetismo di ritorno). Appare evidente, quindi, che, come dice il sociologo D. Kesselgross, ‘’il ‘webetismo’ fa sicuramente bene solo a Mark Zuckerberg’’ (antroponimo di origine tedesca= montagna di zucchero), il geniale inventore-proprietario di Facebook, il cui valore stimato ammonta a ben 500 miliardi di dollari! Quindi, lungi da noi l’idea di fare l’apologia dell’anacoresi o del giansenismo, l’invito alla società ‘liquida’, senza più valori, in cui si assiste sempre più alla ‘vaporizzazione’ della figura paterna in seno alla famiglia, è di usare questi social media cum grano salis, e, in ogni caso, di  meditare, prima di schiacciare forsennatamente il tasto di un Pc o di un telefono smart, perché la realtà virtuale è molto diversa da quella effettuale, e  il pericolo non è più dietro l’angolo, come si diceva una volta, ma si annida sotto l’onomatopeico clic di una tastiera: porta d’ingresso di un ‘rifugium peccatorum’ chiamato web, che il gen. Umberto Rapetto, super esperto di informatica, ha definito metaforicamente: ”una giungla i cui animali feroci si riconoscono solo dopo che ci hanno mangiati!”

Prof. Domenico Calderone

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