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Presentato a Ruvo del Monte “Il tempo di un soffio”, il nuovo romanzo del lucano Donato Di Capua

Nella magnifica cornice del “Museo parrocchiale di arte sacra, della civiltà contadina e della memoria storica ruvese” di Ruvo del Monte, tra reperti interepocali di tutti i tipi, è stato presentato il nuovo, 5° libro del pietragallese Donato Di Capua “Il tempo di un soffio” (Les Flậneurs edizioni, Bari, 2019, euro 16,00). A fare gli onori di casa sono stati il sindaco di Ruvo del Monte, arch. Michele Metallo, con l’assessore alla cultura, geom. Raffaele Mira, che hanno plaudito alla lodevole iniziativa culturale promossa da Domenico Grieco, responsabile del museo. Sono intervenuti: la dr.ssa Merisabell Calitri, storica dell’arte ed autrice della postfazione al libro, l’avv. Aurelio Pace, che ha rimarcato l’esigenza di leggere il libro di Di Capua e raccoglierne il messaggio d’amore, solidarietà, fratellanza etc. superando i confini dell’odio che contrassegnano la nostra società degli egoismi. Lina Spedicato, nella veste di moderatrice ha letto anche alcuni passi salienti del testo, prima di passare la parola all’autore, che ha motivato la pubblicazione di questo nuovo libro con “l’esigenza di riscoprire i valori perduti, una volta tipici della civiltà cristiana.” Chiamato ad intervenire come esperto di progetti linguistici per i minorenni stranieri non accompagnati, il sottoscritto ha dichiarato che: “Il tempo di un soffio” potrebbe essere inscritto a pieno titolo nella Flȕchtlingeliteratur, con sfumature da Sturm und Drang. La storia raccontata è talmente verosimile da sembrare vera. In essa il ricordo diventa materia attraverso il flashback ricorrente, con la Provvidenza di echi robinsoniani che arriva sempre al momento giusto, inaspettato ed insperato, e come un deus ex machina risolve i problemi esistenziali del protagonista, nella fattispecie Khalil, ragazzo egiziano salvato dalle onde mentre i suoi genitori venivano inghiottiti dalle acque gelide del mare Mediterraneo. Quindi, la musica come sublimazione degli affetti familiari originari perduti assume una molteplice valenza universale e messaggio di amicizia, amore, rispetto, tolleranza, all’insegna di uno spirito cosmopolita che si basa su un principio molto semplice: nessuno al mondo può scegliersi dove nascere e come nascere”. Entrando nel merito del romanzo in esame, notiamo subito la bella copertina di Ilaria Moscardi, evocativa della storia raccontata. Le 255 pagine, distribuite in 43 capitoli corrispondenti ad altrettanti aneddoti-episodi, scritte in un registro linguistico di livello medio-alto, si caratterizzano per la quasi assenza di forestierismi, refusi (eccetto “affianco” anziché “a fianco”) e, soprattutto, bestemmie: un pregio non comune nell’editoria contemporanea. I dialoghi sono serrati e i moduli espressivi ricchi di sentimenti nobili più vicini alla realtà che alla finzione narrativa. Khalil è il personaggio principale del romanzo, intorno al quale si snoda l’intera trama narrativa. Questi, da bambino naufrago viene adottato e curato amorevolmente dai coniugi Hazim e Mariam e poi iniziato alla musica fino a diventarne docente e, poi, addirittura direttore d’orchestra, grazie all’amicizia sincera e solidale di Giusy e Marco, con il sostegno di Ludovico (chiaro omaggio a Beethoven), maestro di musica e mentore di Khalil, al quale espande il “sacro fuoco della musica”. I colpi di scena, in questo romanzo, sono elementi caratterizzanti sempre viranti verso la bellezza e la bontà, forse, però, secondo un’eccessiva interpretazione anagogica dei fatti che “accadono”. Certo, la storia raccontata è stata imbastita all’insegna dell’iperbole, per poter confermare che: per aspera ad astra, ma il plot narrativo sembra coerente con le tematiche dell’integrazione e dell’inclusione, al centro del dibattito politico attuale. Colpiscono i riferimenti e le citazioni musicali, esposti con dovizia di particolari, la cui precisione fa pensare ad una scrittura a quattro mani, con un esperto di musica, di questo bel romanzo, il cui unico difetto è quello di strizzare troppo l’occhio al popolo dei social media, di cui sono “prodotti tipici” i puntini di sospensione in quantità smisurata, come a pag.56 (ben tre volte), pag. 10 (ben quattro volte) e uno o due volte in altre pagine: in ogni caso, una presenza che non sarebbe affatto piaciuta ad Umberto Eco, nemico dichiarato degli “scrittori a caccia di suspence” attraverso tali segni di interpunzione. Tra i pregi de “Il tempo di un soffio”, invece, va sicuramente annoverato ed accettato il ricorso alla paremiologia egiziana, da parte dell’autore: “Non insultare mai un alligatore prima di aver attraversato il fiume” (pag. 71). ”La morte apre gli occhi ai vivi” (pag.252) e “Non puoi sentire il vento sulle mani se le tieni in tasca” (ibidem), allo scopo di rafforzare la credibilità di Khalil in questa incredibile storia: un buon esempio di intercultura e sincretismo nel mondo globalizzato.

prof. Domenico Calderone

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