“Decreto Sicurezza”, dietrofront della Regione Basilicata. Rinuncia a ricorrere davanti alla Corte Costituzionale

La nuova giunta regionale della Basilicata ha deciso di rinunciare al ricorso davanti alla Corte Costituzionale per il cosiddetto “Decreto Sicurezza”. Si tratta di una scelta adottata dal governatore, Vito Bardi, e dai componenti della giunta regionale nell’ultima seduta. La giunta regionale decise di voler impugnare il “Decreto Sicurezza” lo scorso gennaio, quando alla guida della Giunta c’era Flavia Franconi. La precedente Giunta considerava alcuni articoli del decreto, in particolare gli articoli 1 e 13, “lesivi dell’autonomia regionale e degli enti locali in quanto impattanti su competenze concorrenti e residuali garantite dall’articolo 117 della Costituzione in materia di assistenza sociale, sanità, istruzione, formazione e politiche attive del lavoro”. Secondo la precedente giunta, “con l’applicazione del decreto sicurezza” poteva esserci “disparità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e gli stranieri regolarmente soggiornanti, in violazione peraltro delle convenzioni internazionali che tutelano i diritti fondamentali dell’uomo”. La rinuncia è stata decisa dalla giunta Bardi, motivando che il Decreto Sicurezza non pregiudica né in via diretta né indiretta le prerogative costituzionali della Regione e degli enti locali e, pertanto, il giudizio instaurato con riguardo agli articoli del decreto non appare più di interessa. Ma non mancano le polemiche. Per il consigliere regionale del PD, Roberto Cifarelli, “con tutti i problemi che ci sono da affrontare, il presidente Bardi si preoccupa di revocare il ricorso alla Corte Costituzionale della Legge 132/2018 (Decreto Sicurezza) da parte della Regione Basilicata”. Cifarelli su questo tema ha presentato un’interrogazione insieme ai consiglieri Braia e Polese. “La rinuncia – ha concluso Cifarelli – non incidendo peraltro sulla emissione della pronunzia della Corte Costituzionale circa la legittimità o meno del Decreto Sicurezza e sui successivi sviluppi di carattere giuridico, appare un mero atto di sudditanza politica o meglio ancora un debito politico che il presidente Bardi si è affrettato onorare nei confronti della Lega del ministro dell’Interno Salvini”.

Claudio Buono

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