Il prossimo 26 ottobre scadono le autorizzazioni per la ricerca e la produzione di petrolio in Val d’Agri. Si tratta di concessioni, pur sempre temporanee, che non solo possono non essere rinnovate dal Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE), ma che potrebbero anche essere “ostacolate” da un parere negativo espresso della Regione Basilicata. Occorre, infatti, chiedersi, a più di trent’anni dall’inizio delle attività petrolifere, quali siano state le ricadute in termini ambientali e sanitari sul territorio lucano. Lo stesso ultimo rapporto dello Svimez sull’economia del Mezzogiorno ha messo in evidenza come i tassi di disoccupazione e la qualità delle infrastrutture della Basilicata non sono migliorati in parallelo con l’aumento della produzione di petrolio. Le inchieste giudiziarie in corso, poi, non fanno altro che completare questo quadro non certo rassicurante. D’altro canto, l’urgente crisi climatica e le numerose proposte di transizione energetica mondiale devono aprire una riflessione sull’uso delle risorse minerarie, soprattutto in Basilicata dove si trova il più grande giacimento petrolifero d’Europa. È arrivata, perciò, l’ora di dire basta al petrolio, per una riconversione che guardi alla tutela della salute e dell’ambiente, in un’ottica di sostenibilità. Anche la Valbasento (le cui prime attività estrattive risalgono agli anni Sessanta), oltre a contribuire ancora con alcuni pozzi all’estrazione di olio e gas, è direttamente coinvolta sul tema. È in corso, infatti, un processo (iniziato nel 2017), le cui indagini preliminari fanno ipotizzare che negli ultimi anni sarebbero state smaltite illecitamente nel fiume Basento centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti dal COVA di Viggiano, con la responsabilità di diversi Enti pubblici e privati. Non dimentichiamo poi che, anche grazie alle segnalazioni dei cittadini di Pisticci Scalo sulla percezione di odori nauseabondi provenienti dalla vicina zona industriale, sono partite le indagini che hanno portato al cd. processo “Petrolgate”. Alla luce di tutto ciò, ci auguriamo che chi ha inquinato la Valbasento o continua ancora a farlo, provocando danni gravissimi e irreversibili sul piano sanitario e ambientale, risarcisca in termini economici e di bonifica. Come dimenticare, poi, la “fuoriuscita di petrolio che, nel febbraio 2017, contaminò gravemente il reticolo idrografico della Val D’Agri” (cfr. QUI). In quell’occasione (come da fonte appena citata), “gli idrocarburi dispersi dal COVA si erano insinuati nella rete fognaria consortile, contaminando il reticolo idrografico della Val d’Agri, distante solo 2 km dall’invaso del Pertusillo. (…) Al termine delle indagini è stato possibile constatare la contaminazione e la compromissione di 26mila mq di suolo e sottosuolo dell’area industriale di Viggiano e del reticolo idrografico, una situazione di incombente pericolo per uno dei più importanti bacini idrici dell’Italia meridionale”. Chiediamo, pertanto, agli Enti preposti di non rinnovare per altri dieci anni le concessioni petrolifere in Val d’Agri e di effettuare una moratoria su tutte le attività petrolifere in Basilicata, inclusi il neo-impianto di Tempa Rossa e le 17 istanze di permesso di ricerca in attesa di autorizzazione; tra queste, ricordiamo in particolare “La Capriola” (che interessa i Comuni di Pisticci, Bernalda, Montalbano Jonico, Montescaglioso e Pomarico) e “Il Perito” (tra Miglionico, Montescaglioso e Pomarico). La Lucania non può essere ancora una volta sacrificata sull’altare della politica energetica nazionale. Bisogna uscire da questa logica di sfruttamento indiscriminato, pensando a nuove forme di sviluppo socio-economico alternative e sostenibili. Esprimiamo, infine, piena solidarietà a chi da oggi manifesta fisicamente sotto la sede della Regione Basilicata e si sposterà a giorni a Roma per sostenere un forte No al petrolio in Lucania.
Comunicato stampa
Movimento Tutela Valbasento