Su melandronews.it ospitiamo una lettera aperta che porta la firma di Potenza Città Sociale, uomini e le donne di Associazione Insieme, dei Centri Polifunzionali Integrati “Potenza Città Sociale” e “Picerno Città Sociale”, di Casa dei Diritti, del Centro Socio-Educativo “Insieme”, della Fattoria Sociale “le 3 Querce” e dell’Housing Sociale di Potenza.
Non laviamoci le mani. Siamo sempre stati promotori di una dialettica di dialogo, sottolineando il coraggio e la generosità di molti piuttosto che la malvagità e l’ipocrisia di tanti altri. Abbiamo lanciato appelli, scritto lettere, come l’ultima inviata l’ormai lontano 26 Marzo scorso alla filiera dirigenziale della sanità lucana; abbiamo fatto tutto il possibile per ricordare agli organi istituzionali locali quanto fosse necessario incontrarsi, confrontarsi, anche scontrarsi, ancor di più oggi che siamo chiusi nelle nostre case. Abbiamo contattato le forze politiche, le ASL, le associazioni di coordinamento come il CEARB, chiedendo alle istituzioni un confronto per tracciare una linea da seguire, una modalità per continuare ed ampliare il nostro operato, strumenti che ci consentissero di ridurre i rischi di contagio a persone spesso molto più vulnerabili della popolazione generale, ed alle associazioni un momento di sincronizzazione, un dialogo che dovrebbe in realtà costituire lo standard e non l’eccezione. Perché l’Incontro non è, ed in realtà non è mai, “una fra le tante cose” che bisogna fare nel fronteggiare pericoli e difficoltà, ma LA cosa, il primo imprescindibile passo per un cambiamento ed un adattamento efficace. Mentre ovunque le istituzioni regionali e le associazioni hanno accolto le richieste di una chiarezza maggiore, fornendo “linee di indirizzo” co-costruite, aprendo peraltro ad ulteriori modifiche in base all’evolversi della situazione, come si legge nelle comunicazioni inviate dalle ASL e dai Dipartimenti Sanitari locali, a noi nessuna risposta, nonostante i solleciti. In un momento buio ed epidemiologicamente così delicato è necessario accendere messaggi di speranza. La speranza, quella vera, tuttavia, a differenza delle vuote parole, implica l’Assunzione di quel combustibile chiamato Responsabilità, per me e per l’Altro. Una Responsabilità che potremmo definire “democratica”, perché tutti, senza distinzione di età, di sesso, di luogo di nascita, di estrazione sociale, abbiamo l’imperativo morale ed etico di fare tutto il possibile per arginare, contrastare e porre le basi per una risoluzione. Mantenere il metro di distanza, osservare l’isolamento, indossare una mascherina, per quanto scomoda sia, vuol dire prendersi cura di sé e dell’Altro, delle persone care, di tutta la Comunità. Lavarsi le mani è un atto di cura del mondo intero. Noi, oggi, intimiamo provocatoriamente di smetterlo di farlo. È finita l’Era del Lavarsene le mani. Non è più possibile scaricare la colpa sull’altro, addentrarsi nella caccia alle streghe, nella ricerca dell’untore. Da oltre un mese nel Centro Polifunzionale di Potenza Città Sociale, che ospita le comunità terapeutiche per le dipendenze patologiche, come in altre realtà sul territorio lucano e nazionale, abbiamo deciso di fare la nostra parte, di costruire nel buio. Per la nostra salvaguardia e per la tutela dei nostri ragazzi. Ci aspettavamo e ci aspettiamo che anche le istituzioni facciano lo stesso. Che smettano di lavarsene le mani, che smettano di lanciare messaggi contraddittori, di agire come schegge impazzite per affermare la competenza, la conoscenza. Il silenzio e l’incuria istituzionale, in questo frangente, non porta all’immobilità, ma al danno. Lo vediamo, inermi, ogni giorno nei notiziari, lo sentiamo nella paura di cittadini che muoiono per i ritardi sanitari, nell’ansia della popolazione per quella febbre che non scende, per quel respiro affannoso inascoltato, per quelle guardie mediche, quegli ospedali, quei servizi di soccorso che rimpallano richieste da una parte all’altra, soldati senza armi, costretti a decidere chi ha più urgenza e chi può soffrire in solitudine. Lo viviamo noi, enti del terzo settore, privati di una linea comune, di un cordone di sicurezza che ci permetta di confrontarci insieme con la sanità pubblica sulla migliore strada da intraprendere. Interpretiamo, ci sporchiamo le mani, decidiamo in autonomia, dando vita ad interventi per forza di cose sconnessi. Le carceri, i ser.D, i privati cittadini ci chiedono di poter ascoltare il loro disagio e non abbiamo, come sistema di cura regionale, una strada condivisa per poter accogliere queste richieste. La sordità della classe politica e dirigenziale è più persistente di qualsiasi virus e lascia scoperta un’area di vulnerabilità, trascura la popolazione, soprattutto quella debole, nel momento in cui più ha bisogno. Stiamo perdendo, e continuiamo a perdere ad ogni decisione approssimata, ad ogni intervento improvvisato. Il Coronavirus, come altre minacce epidemiologiche, è arrivato e passerà, la disorganizzazione e lo scoordinamento è endemico, ma forse questo è parte di un discorso più ampio. Il punto, però, rimane: non è il Coronavirus che uccide di questi tempi. È l’incuria, l’irresponsabilità, il rifugio nell’abitudine di lavarsene le mani. Ai tempi del Coronavirus, al contrario, incontrarsi, confrontarsi, anche se a distanza, è un atto eroico che tutela la libertà, l’accoglienza, la vita. Noi, continuando la nostra Azione, aspettiamo la vostra risposta”.