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La quarantena scoperchia il vecchio, classico “Vaso di Pandora”

Il 7 luglio 2020 ricorre il nono anniversario della morte di Angelo Calderone, il poeta-scrittore originario di Ruvo del Monte, meglio noto con lo pseudonimo di Engel von Bergeiche (a cui è dedicato un importante Premio/Concorso artistico-letterario eponimo, che si svolge in agosto). Ed è una data che, quest’anno, cade in un momento drammatico per l’umanità dell’intero pianeta, colpita a morte da un microrganismo misterioso e sconosciuto alla comunità scientifica, denominato convenzionalmente Covid-19. Conoscendo la sua sensibilità poetica, viene da chiedersi, se fosse stato ancora tra noi, che cosa avrebbe scritto Angelo delle misure contenitive suggerite durante i “dies irae”, dai responsabili scientifici dell’OMS, come il confinamento domiciliare, lui che, suo malgrado, da tempo, era costretto agli “arresti domiciliari senza colpa”, come soleva definire il suo status, a seguito di un incidente stradale provocato alcuni lustri prima da un giovane tossicodipendente alla guida di una potente automobile, in terra tedesca. Chissà che cosa avrebbe detto dell’osservanza della così impropriamente detta “distanza sociale”, lui che l’aveva provata in prima persona, nel vero senso letterale della locuzione, da giovane, quando, ancora bambino, era stato mandato come garzone in una fattoria di Melfi, in cambio di una misera caciotta di formaggio all’anno, oppure quando andava a raccogliere le olive nelle campagne di Venosa, insieme al padre Antonio, per ricevere il misero compenso di una damigiana d’olio di dieci litri per l’intera raccolta, da trasportare, poi, a spalla e “lento pede”, fino a Ruvo del Monte, paese di residenza della famiglia. Adesso ci si lamenta perché la pandemia ha ridotto le nostre libertà individuali e collettive ed i nostri agi moderni. Si va in piazza a protestare violentemente contro le residue restrizioni imposte dal Governo, per tutelare la salute pubblica, passando così dalla “fase 3” a quella della “non compos mentis”, perché, a tutte le latitudini, purtroppo (basti vedere i fatti di Stoccarda, Liverpool etc.), il cittadino è diventato intollerante persino verso le regole a tutela della sua stessa salute, in quanto dà tutto per scontato e dovuto, a prescindere dalla realtà.

I nostri connazionali, poi, dimenticano o ignorano che, in Italia, il diritto alla salute non è garantito dai tempi dell’Impero Romano, e il Servizio Sanitario Nazionale non è attivo dall’Unità d’Italia, ma vige solo dal 1° luglio 1980, come bene universalmente fruibile, grazie alla legge 833/1978 voluta dalla compianta Tina Anselmi; e ci sono molti Paesi, come gli Stati Uniti d’America, campioni mondiali del contagio (“faro” dell’Occidente, grande esportatore di “democrazia”, armi, e mode strampalate), dove esso è un miraggio ancora oggi. Tornando in Italia, alla luce della “Waterloo” sanitaria lombarda, appare chiaro che il povero poeta, vox clamans in deserto, che si era sempre contraddistinto per il suo realismo pessimistico, con contaminazioni romantiche, avrebbe tremato come una canna al vento, dalla paura, di fronte a quegli esperimenti eugenetici fatti “in corpore vili”. E avrebbe attinto a piene mani alle comprensibili contraddizioni della politica e degli esperti, senza dimenticarsi di condannare la violenza tout court ed in particolare quella in famiglia e di genere, a proposito della quale, così recitava nella sua quasi sussurrata e drammaticamente semplice poesia intitolata “Perché?”, inserita nella collana Minerva di “Speranza tra sogno e realtà” (Book editore, Milano, 1991, Lire 15000): <<Perché sprecar lacrime, amico,/su una gelida pietra tombale,/per un corpo senza vita/che mai più potrà risponderti?/Perché non m’ascoltasti,/quando furioso e pieno d’orgoglio,/denigravi la tua compagna,/malmenandola senza ragione/e con efferatezza,/senza mai dirle una dolce parola/e mai farle una carezza?/ Mai le desti gioia,/né un minimo di affetto;/ e ciò nonostante,/lei di te aveva un gran rispetto./Mai le portasti dei fiori,/né le parlasti d’amore,/stringendola teneramente/sul tuo cuore./Ora invece/che più non può ascoltarti,/né vedere le cose,/ tu versi lacrime,/posando sulla gelida pietra delle rose./ Ordunque, amico mio,/lascia la tomba e vieni via!/Affidala a Dio/e alla sua bontà;/di sicuro,/colei che fu la tua consorte,/l’eterna pace troverà.>>

Già, perché? Perché, come emerso dall’ultimo, terribile fatto di sangue di Lecco ( dove un padre, superando la tragedia sofoclea, nella realtà, ha strangolato i suoi due figli gemelli di dodici anni, prima di buttarsi da un ponte, “per punire sua moglie che ne aveva chiesto il divorzio”), la quarantena: antica, umile ed unica “medicina” veramente efficace come antidoto ad epidemie e pandemie anche terribili, come quella corrente, scoperchiando il classico “Vaso di Pandora”, ad onta degli “affetti stabili”, tra gli effetti collaterali indesiderati ha slatentizzato e riportato alla luce vecchi e nuovi, pericolosi vizi privati, coniugando al maschile il vecchio refrain mozartiano del “così fan tutte”, senza svelare alcuna nuova pubblica virtù, dimostrando, nel contempo, che biologia e medicina non sono mai state scienze esatte ed infallibili, capaci di offrire la panacea per tutti i mali.

prof. Domenico Calderone

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