Melandro News

Il 73° Festival di Sanremo, la città dei fiori … calpestati. Un megashow stupefacente ad uso di “artisti” bisognosi di rieducazione

Nilla Pizzi (foto Wikipedia)

Era il 1951, quando, sul palco dell’Ariston, la grande Nilla Pizzi cantava: “Grazie dei fior/(…) son rose rosse e parlano d’amor (…)”. E’ febbraio 2023 quando, invece, sullo stesso palco, un cantante che si fa chiamare Blanco, ma dovrebbe essere nero dalla vergogna, colpito da improvvisa (?) furia bio-iconoclasta distrugge l’intero addobbo floreale sapientemente assemblato dallo staff del grande scenografo Gaetano Castelli. Ora, da ex docente di Lingue ed educatore, in un momento in cui in Italia è emergenza educativa, e i docenti    della Scuola di ogni ordine e grado sono sotto scacco di alunni e genitori, non posso esimermi dall’esprimere tutto il mio biasimo per tale ignobile sacrilegio botanico a danno dei simboli dell’amore, della bellezza e dell’armonia per antonomasia. Si tratta di uno scempio che la dice lunga sulla società turbata in cui viviamo, dove le trasgressioni e le esibizioni affatto edificanti vanno per la maggiore e l’anarchia nazionalpopolare nel mondo dello spettacolo trova consensi crescenti nella plebe, come non mai, grazie al sovvertimento dei vecchi canoni tradizionali ancorati al buonsenso, alla buona educazione e al galateo: tre valori fondamentali del vivere civile, complementari tra loro. Così, oggi, tutto è permesso. I freni inibitori, infatti, non esistono più, talché, sempre sul famoso palco, troviamo la graziosa bassista dei Maneskin, che suona forsennatamente ostentando un collant lacerato at the bottom e, peggio ancora, uno che si fa chiamare Rosa Chemical, il quale, inscenando una sorta di revenge gender, si lascia andare in un lascivo kiss tongue-to-tongue con il rapper Fedez, di origini lucane, col quale simila anche un amplesso gay, come “explanatio per argumenta exemplorum”. A questi atti osceni in luogo esposto al pubblico, anche infantile, ha dato il suo contributo anche una delle presentatrici, ossia l’influencer Chiara Ferragni (un re Mida al femminile che trasforma in oro, per lei, tutto ciò che tocca e firma, compresi i pacchetti di chewing gum e i panettoni), la quale ha presentato canzoni e cantanti, in sottoveste trasparente che lasciava vedere tutto, usando un registro linguistico di livello basso, adatto al target. Oggi vige il libero arbitrio, frutto di un lassismo apatico impregnato di qualunquismo e superficialità, maturati attraverso la pervasività perversa delle applicazioni di Internet e della Tv commerciale, mondo da cui provengono questi cantanti da brividi, quasi tutti perforati nel corpo e nella mente. Cosicché, nonostante l’egida presidenziale, il contest sanremese si conferma un carrozzone pubblicitario sul quale tutti i parvenu dello show business cercano di salire, disposti a tutto, pur di apparire nella vetrina canora più importante della penisola. E’ il luogo dove la bravura ha un ruolo secondario, rispetto a pseudonimi alquanto bizzarri e looks volgari. Qui si cantano le canzoni selezionate dal dominus Amadeus, tutte composte in teams pletorici, come “Furore” di Paola e Chiara, scritta, addirittura, a 16 mani, su cui il convitato di pietra ha commentato: “(…) allora, in proporzione, illo tempore, per un’opera lirica di Bellini o di Verdi, quanti autori ci sarebbero voluti?”.

Ci hanno fatto il brain washing, dicendoci che l’Auditel ha registrato record di ascolti con cifre da capogiro (è tutto da verificare e contestualizzare), per autoesaltarsi e confutare i giudizi negativi sulla Kermesse e i tanti concorrenti giunti a Sanremo più per “fattore x” che per meriti artistici. Agli imbonitori del Servizio pubblico vale la pena ricordare che l’indice Auditel non è un indicatore di qualità delle trasmissioni televisive, tant’è che i programmi più validi sono quelli con un relativamente basso indice di ascolto, come ad es. “Report”, “Presa Diretta”, “Chi l’ha visto?” e “Mi manda Raitre”, vecchio fiore all’occhiello della nostra Tv di Stato, scandalosamente ridotto ad un’ora al sabato mattina (9:00-10:00) e, idem, un’ora alla domenica, cioè quando i telespettatori dormono ancora. Geniale, no? Un masochismo ad hoc per lasciare spazio, in prima serata, ai programmi trash della concorrenza (sic!). E’ chiara l’antifona, cari, simpatici buskers ed affini?

Prof. Domenico Calderone

 

Exit mobile version