Danila Marchi è insegnante polivalente presso la Scuola Primaria statale di Diano San Pietro (Imperia) ed è anche specializzata Assistente sociale. Ha imparato a conoscere ed amare la nostra Basilicata nel 2014, partecipando e piazzandosi al 3° posto al “Concorso Artistico-letterario Engel von Bergeiche”, vero “primo motore” per entrare nell’agone letterario, che si svolge in modo itinerante tra Ruvo del Monte (paese natio di Angelo Calderone, a cui è intitolato il Premio fondato da sua figlia Rosa), Rionero in Vulture, Melfi e Venosa, ogni anno in agosto. Al medesimo concorso, nel 2016 ottiene il 1° posto con il racconto “La ragazza del blues” ed il 2° posto, nel 2017, con “Vita migrante”. In perfetta coerenza con il suo curriculum professionale, negli anni 2015 e 2016 ha partecipato, in Emilia Romagna, a due reading poetici sull’autismo e sulla SLA (organizzati dall’Associazione culturale eponima del Concorso/Premio letterario citato), tematiche a lei care, su cui ha sempre scritto, per portarle all’attenzione del pubblico, in giro per l’Italia. La poesia di Danila Marchi si manifesta come “flusso” incalzante, originato da una scrittura di getto che non lascia tempo e spazio ad infingimenti e recriminazioni. La versificazione esce fuori dagli schemi metrici tradizionali: è spesso libera, mutuante il blank verse, senza tuttavia rinunciare, in certe occasioni, alla rima nelle sue forme ed espressioni più varie. In larga parte si tratta di poesie lunghe che spaziano, senza soluzione di continuità e di pensiero, dall’Ermetismo al Verismo, passando per il Romanticismo. Le parole usate, sempre acconce, sono quelle scaturenti da un vissuto spesso doloroso, talvolta moderatamente gioioso, comunque specchi fedeli della vita familiare e professionale dell’autrice, molto impegnata nel sociale. La poetica e la narrativa di Danila Marchi sono un corollario di lemmi ad alta frequenza, solo sporadicamente alternati a qualche sofisma, con la precisa volontà di assicurare un continuum descrittivo dell’io narrante, atto a sostenere un ritmo incalzante di sensazioni diverse, in un’altalena ad immagine del pendolo come metafora della vita. Il livello del registro linguistico, volutamente medio, consente la lettura tutta d’un fiato a qualsiasi lettore, di tutte le età e cultura, senza ricorrere ad arzigogoli e perifrasi che potrebbero inficiare i pensieri, esternati, quando necessario, con figure retoriche semplici, convenzionali, all’insegna del famoso motto latino “intelligenti pauca”. Esemplificativa della sua cifra stilistica e sensibilità umana è la commovente, icastica lirica “Da questo albergo”( pagg. 40-41), una delle 71 poesie della raccolta epilemmatica intitolata “E che cosa sia l’amore mi chiedo” (Il Convivio ediz.,Catania, 2019, euro 13) dedicata ai poveri homelesses che popolano i portici delle nostre città, avvolti in coperte di stracci e ripari di cartone: ”Da questo alberghetto ai bordi della città/ascolto la pioggia scrosciare là fuori/e mi consolo di essere al riparo al crocevia/del mondo dentro a questo nido caldo/che mi consola e mi accoglie/come una madre nel suo utero caldo. /Penso a te, viandante senza guscio/che col tuo cucciolo devoto in braccio/qui dietro all’uscio, seduto all’angolo/ringraziavi i passanti ad ogni spicciolo./Da dietro i vetri bagnati di pioggia /a goccia a goccia rimbalza il tuo volto/ e l’eco della tua voce nel sussurro di/quelle tue parole, voce,che ora tace/e non so pensare dietro a quale scoglio/hai trovato riparo, in qualche portone/buio e deserto per sbaglio lasciato aperto./Nella città bagnata che giace addormentata/un angelo mandato da Dio ti ha forse preso/accompagnandoti a rifocillarti al caldo/del ristoro più vicino, il mio cuore lo prega./O ti troverò domattina ancora intontito/sul giaciglio dello scalino freddo di marmo/di cartone intriso tra quelle poche misere/vettovaglie che ti porti appresso, ultimo/tra gli ultimi e dove sta l’uomo mi chiedo/il vigile, l’assistente sociale che gira ameno/ in abito da sera, e dove va l’uomo mi chiedo/se lascia per strada al freddo il fratello/se lo divora, lo brucia, se passa indifferente/ agli occhi fissi e impassibili della gente”. Che dire di più, se non chapeau, a questa grande donna, madre, educatrice?
Prof. Domenico Calderone