Nel film, liberamente tratto dal libro “Sono io Elisa Claps”, di Maria Grazia Zaccagnino (Edigrafema editore), emerge a chiare lettere la figura determinante di Gildo, che studia Giurisprudenza e, per una strana ironia della sorte, si trova a condurre indagini parallele a quelle della Magistratura inquirente per scoprire prove atte ad incastrare chi ha fatto sì che sua sorella non facesse più ritorno a casa, da quella maledetta domenica di settembre del 1993. Maestosa la figura di Filomena Iemma, bassa di statura ma altissima di valore etico e morale: un amore viscerale per la famiglia, trasmesso anche all’altro figlio, Luciano, che si arruolerà nella Polizia di Stato, onde poter contribuire alla ricerca della verità. Sullo sfondo, Antonio Claps, il capofamiglia, umile guardia giurata, che non si dà pace per l’accaduto e promette vendetta a chi ha fatto tanto male a sua figlia. Emergono gravi indizi a carico di Restivo (che ha l’abitudine malsana di tagliare ciocche di capelli, a loro insaputa, alle ragazze che incontra), ma non vengono ritenuti validi come capi d’imputazione.
E, purtroppo, la ragazza sedicenne non si trova, né viva, né morta. Fino al 2011, quando i poveri resti di Elisa Claps vengono ufficialmente notati, incredibilmente, da alcuni operai rumeni nel sottotetto della chiesa della Ss. Trinità (sic!). Poi si scopre che, in realtà, due donne delle pulizie, madre e figlia, avevano già scoperto le ossa (coperte con materiale di risulta e arieggiate da una finestra creata ad hoc), un paio di mesi prima, e avevano avvisato il viceparroco don Wagno, che, a sua volta, avrebbe informato il Vescovo dell’epoca. Risultato: le due donne, ancora molto spaventate, vengono condannate in primo grado ad 8 mesi di reclusione per false dichiarazioni al Pm, con successiva assoluzione per prescrizione, dalla Corte d’Appello di Potenza. Erano passati
Nel frattempo, Danilo Restivo, subodorando il volgere a suo sfavore della vicenda, era espatriato in Inghilterra. Infatti, il suo DNA era stato finalmente individuato dal secondo perito, chiamato ad esperire ex novo le prove scientifiche sulle tracce biologiche, prima negative, rinvenute sul maglione che indossava la povera Elisa quando, respingendo un raptus sessuale, veniva trafitta da ben 13 coltellate. Nel Dorset, pur essendosi ammogliato con Fiamma Basile Giannini, infermiera e affittacamere poco più grande di lui, Danilo Restivo non aveva affatto perso le pericolose manie. Infatti, fa amicizia con la sarta 48enne Heather Barnett, sua vicina di casa, ma, poco tempo dopo, la donna viene trovata dai suoi bambini, al ritorno da scuola, morta nel bagno, con i seni recisi, sparsi per terra, e una ciocca di capelli in mano. E’ un macabro “marchio di fabbrica” riconducibile allo strano immigrato italiano, ma la Polizia inglese ha bisogno di parecchi sopralluoghi, non solo sul luogo dell’orrendo delitto, ma anche a Potenza, prima di raccogliere tutte le prove sufficienti ad arrestare l’attenzionato, che viene fermato in un boschetto in riva al fiume, proprio mentre, pedinato, è con la borsa dei macabri attrezzi, pronto ad infierire su una donna che sta svestendosi per prendere il sole.
Nel 2014, la Corte inglese, più pragmatica rispetto a quella italiana, condanna il Restivo a 40 anni di carcere, per l’omicidio della povera Heather Barnett. In Italia, Paese di sconti, la condanna inflitta ( in absentia, in quanto già recluso nel Regno Unito) è stata di soli 30 anni, in teoria 70 complessivi. La recente riapertura al culto, dopo 3 decenni di giusta chiusura, della cattedrale incriminata, ha riacceso il dibattito circa l’opportunità della decisione vescovile, in netto contrasto con la communis opinio. Il buonsenso, anche dello scrivente, alla luce dei gravissimi fatti accaduti in quella sede, avrebbe voluto che il luogo di culto così profanato fosse sconsacrato e declassato a magazzino. Invece, il Vescovo attuale ha riaperto i battenti e, tutte le mattine, c’è la messa: circostanza che ha scatenato un’ondata di proteste all’esterno della chiesa, dove da qualche giorno si radunano miglia di fedeli contrari alla decisione prelatizia. Un “accanimento” della Chiesa potentina che, pro bono pacis, si poteva evitare a favore di una damnatio memoriae. Invece si è agito diversamente, alimentando e perpetuando lo stigma sul capoluogo e, di riflesso, sull’intera Lucania. Peccato!
Prof. Domenico Calderone