Melandro News

“Per Elisa. Il caso Claps”: una docu-fiction che “istiga” alla ricerca della verità completa sull’uccisione e l’occultamento del cadavere della povera studentessa lucana

Il grande docufilm di Marco Pontecorvo (figlio del più noto Gillo), andato in onda per tre martedì consecutivi su Rai 1, raccogliendo il testimone da “Chi l’ha visto?” di Rai 3, offre un ulteriore contributo alla ricerca della verità completa sulla tragica fine della povera ragazza potentina di soli 16 anni. I primi fotogrammi della miniserie, girata con un formidabile cast di attori, forse sconosciuti al grande pubblico, ci riportano alla notizia shock iniziale della sparizione della studentessa, andata a messa con Danilo Restivo, ventunenne, nella chiesa della Ss. Trinità di Potenza, ed inghiottita nel buco nero delle sparizioni inspiegabili. Da quel 12 settembre 1993 è stato un susseguirsi di indagini sbagliate, di depistaggi veri o presunti, di connivenze. La messinscena del finto rapimento con successiva, macabra caccia al tesoro, i falsi avvistamenti in Albania, la semplice condanna del Restivo ad un anno di reclusione, unicamente per false informazioni al giudice, senza tenere in debita considerazione i gravi indizi, tra cui le telefonate ai Claps col sottofondo di “Fȕr Elise”, di Ludwig Van Beethoven e la colonna sonora dei Goblin del film ”Profondo rosso” di Dario Argento, che man mano emergevano dalle indagini ufficiali, e da quelle parallele dei fratelli Claps. Poi la congiura del silenzio, l’incontro tra Gildo (fratello di Elisa) e don Marcello Cozzi, attivista di Libera, che sfocia nella fondazione dell’Associazione Penelope, la quale si occuperà del sostegno alle famiglie delle persone scomparse.

Nel film, liberamente tratto dal libro “Sono io Elisa Claps”, di Maria Grazia Zaccagnino (Edigrafema editore), emerge a chiare lettere la figura determinante di Gildo, che studia Giurisprudenza e, per una strana ironia della sorte, si trova a condurre indagini parallele a quelle della Magistratura inquirente per scoprire prove atte ad incastrare chi ha fatto sì che sua sorella non facesse più ritorno a casa, da quella maledetta domenica di settembre del 1993. Maestosa la figura di Filomena Iemma, bassa di statura ma altissima di valore etico e morale: un amore viscerale per la famiglia, trasmesso anche all’altro figlio, Luciano, che si arruolerà nella Polizia di Stato, onde poter contribuire alla ricerca della verità. Sullo sfondo, Antonio Claps, il capofamiglia, umile guardia giurata, che non si dà pace per l’accaduto e promette vendetta a chi ha fatto tanto male a sua figlia. Emergono gravi indizi a carico di Restivo (che ha l’abitudine malsana di tagliare ciocche di capelli, a loro insaputa, alle ragazze che incontra), ma non vengono ritenuti validi come capi d’imputazione.

E, purtroppo, la ragazza sedicenne non si trova, né viva, né morta. Fino al 2011, quando i poveri resti di Elisa Claps vengono ufficialmente notati, incredibilmente, da alcuni operai rumeni nel sottotetto della chiesa della Ss. Trinità (sic!). Poi si scopre che, in realtà, due donne delle pulizie, madre e figlia, avevano già scoperto le ossa (coperte con materiale di risulta e arieggiate da una finestra creata ad hoc), un paio di mesi prima, e avevano avvisato il viceparroco don Wagno, che, a sua volta, avrebbe informato il Vescovo dell’epoca. Risultato: le due donne, ancora molto spaventate, vengono condannate in primo grado ad 8 mesi di reclusione per false dichiarazioni al Pm, con successiva assoluzione per prescrizione, dalla Corte d’Appello di Potenza. Erano passati ben 17 anni dal momento dell’inspiegabile scomparsa! Eppure, nel 1996, erano stati fatti dei lavori di ristrutturazione nel soffitto di quella chiesa, il cui parroco era don Mimì Sabia, che aveva sempre impedito le ispezioni, dicendo di non conoscere Elisa, pur essendo una sua parrocchiana.

Nel frattempo, Danilo Restivo, subodorando il volgere a suo sfavore della vicenda, era espatriato in Inghilterra. Infatti, il suo DNA era stato finalmente individuato dal secondo perito, chiamato ad esperire ex novo le prove scientifiche sulle tracce biologiche, prima negative, rinvenute sul maglione che indossava la povera Elisa quando, respingendo un raptus sessuale, veniva trafitta da ben 13 coltellate. Nel Dorset, pur essendosi ammogliato con Fiamma Basile Giannini, infermiera e affittacamere poco più grande di lui, Danilo Restivo non aveva affatto perso le pericolose manie. Infatti, fa amicizia con la sarta 48enne Heather Barnett, sua vicina di casa, ma, poco tempo dopo, la donna viene trovata dai suoi bambini, al ritorno da scuola, morta nel bagno, con i seni recisi, sparsi per terra, e una ciocca di capelli in mano. E’ un macabro “marchio di fabbrica” riconducibile allo strano immigrato italiano, ma la Polizia inglese ha bisogno di parecchi sopralluoghi, non solo sul luogo dell’orrendo delitto, ma anche a Potenza, prima di raccogliere tutte le prove sufficienti ad arrestare l’attenzionato, che viene fermato in un boschetto in riva al fiume, proprio mentre, pedinato, è con la borsa dei macabri attrezzi, pronto ad infierire su una donna che sta svestendosi per prendere il sole.

Nel 2014, la Corte inglese, più pragmatica rispetto a quella italiana, condanna il Restivo a 40 anni di carcere, per l’omicidio della povera Heather Barnett. In Italia, Paese di sconti, la condanna inflitta ( in absentia, in quanto già recluso nel Regno Unito) è stata di soli 30 anni, in teoria 70 complessivi. La recente riapertura al culto, dopo 3 decenni di giusta chiusura, della cattedrale incriminata, ha riacceso il dibattito circa l’opportunità della decisione vescovile, in netto contrasto con la communis opinio. Il buonsenso, anche dello scrivente, alla luce dei gravissimi fatti accaduti in quella sede, avrebbe voluto che il luogo di culto così profanato fosse sconsacrato e declassato a magazzino. Invece, il Vescovo attuale ha riaperto i battenti e, tutte le mattine, c’è la messa: circostanza che ha scatenato un’ondata di proteste all’esterno della chiesa, dove da qualche giorno si radunano miglia di fedeli contrari alla decisione prelatizia. Un “accanimento” della Chiesa potentina che, pro bono pacis, si poteva evitare a favore di una damnatio memoriae. Invece si è agito diversamente, alimentando e perpetuando lo stigma sul capoluogo e, di riflesso, sull’intera Lucania. Peccato!

Prof. Domenico Calderone

Exit mobile version