Il sospetto che la carriera dell’illustre concittadino, fino alla nomina di senatore, sia stata agevolata dal fatto di essersi molto adoperato nell’ostacolare le indagini sull’assassinio dell’on. Giacomo Matteotti (avvenuto il 10 giugno 1924 per opera di un commando della Ceka, la famigerata polizia fascista), trova step by step conferme autorevoli. E coinvolge, suo malgrado, Mauro Del Giudice (nomen omen), magistrato pugliese di Rodi Garganico, sottoposto di Donato Faggella e incaricato di cercare gli esecutori materiali e i mandanti dell’uccisione del deputato socialista, il quale, ” nella sua breve permanenza a Londra, aveva trovato prove di corruzione a carico del Duce, della sua famiglia e sulla famiglia regnante dei Savoia”(pag. 49). E, come sarebbe successo, decenni dopo, a Paolo Borsellino, “tali documenti scottanti giacevano nella sua cartella personale, che aveva con sé al momento del tragico sequestro, per poterli esibire in Parlamento, onde inchiodare
Il Ricigliano in questo testo fa molto uso di sofismi ed arcaismi, per dimostrare di essersi imbattuto in una notevole mole documentale sui numerosi atti di “bullismo” ante litteram del regime fascista, perpetrati in particolare durante il “ventennio” con l’ausilio delle famigerate squadracce che, in ossequio al crimen maiestatis, terrorizzavano i dissidenti antifascisti. Di grande importanza è la corrispondenza tra il Ricigliano e la prof.ssa Teresa Maria Rauzino (concittadina, studiosa e biografa del grande magistrato garganico), testimone “oculare” del travaglio interiore di Del Giudice nel portare avanti un’indagine di tale portata, sottoposto com’era a pressing politico ed istituzionale. Il lavoro del Ricigliano è senza dubbio encomiabile, per la determinazione nell’esaminare faldoni di documenti nascosti sotto una coltre di polvere, accumulatasi nel corso dei decenni di oblio, e negletti dalla storiografia ufficiale, un po’ per sottovalutazione e un po’ per snobismo. E’ grazie a questo lavoro certosino, che emergono aspetti poco noti del rapporto intercorso tra Mauro Del Giudice e “ il suo capo Donato Faggella, maestro e amico, suo riferimento morale e di dottrina. E sarà lui a tradirlo, inaspettato, novello giuda ”(pagg. 90-91)”.
<<L’indagine, che era stata già avviata da altri senza esiti significativi, imboccò subito la strada giusta e, nel giro di poco tempo, gli autori vennero individuati, arrestati e poi interrogati dal dr. Del Giudice e dal suo sostituto (…). L’instancabile lavoro dei magistrati Del Giudice e Tancredi consentì di scoprire varie responsabilità e coinvolgimenti in delitti minori (…) contro Giovanni Amendola (aggredito a Roma il 26 dicembre 1923) (…), Francesco Saverio Nitti (assalto e devastazione della sua casa a Roma Prati, nel novembre 1924)>> (pag.91). Notevole è il carteggio tra Del Giudice e Faggella. Questi, saputo della morte del fratello del sottoposto, gli consiglia di anteporre i doveri familiari a quelli istituzionali, ma Mauro Del Giudice, integerrimo, rinuncia alla cerimonia funebre del fratello, per non rischiare di vedersi scippare le sue indagini. In ultima analisi, il libro inchiesta di Donato Ricigliano, oltre ad arricchire il lessico mentale del lettore, sembra avere i requisiti per rappresentare una sorta di appendice ad uso degli amanti della Storia contemporanea, senza far storcere il naso agli storici ufficiali, ai quali l’autore, memore del famoso precetto “ubi maior, minor cessat”, non sembra volersi sostituire, ma umilmente affiancare. Ciò in quanto, come afferma Kesselgross: “La Storia, essendo un work in progress in open source, non si cristallizza mai ”; a cui fa eco Gentiloni, ripetendo che: “La Storia è di sua natura revisionista ”, sic! Basterà a smorzare la querelle, in quest’epoca avvezza alla tanto di moda damnatio memoriae tout court?
Prof. Domenico Calderone