A proporre appello contro la sentenza di primo grado era stato, in particolare, Marino, contestando, tra l’altro, l’addebito alla collega Zampino del 10% del presunto danno erariale in ragione di una minore responsabilità per l’accaduto. Mentre il restante 90% è stato addebitato, in parti uguali, a lui e i due dirigenti medici. Di qui il contro-ricorso di Zampino, comunque giudicato inammissibile in quanto presentato oltre tempo massimo, e di Morra. Mentre il solo Vona è rimasto contumace. La Corte ha giudicato «illazioni» le considerazioni formulate nell’atto di appello di Marino «con riferimento ad ipotetiche diverse cause dei fatti (altri interventi chirurgici subiti della paziente, ma non dichiarati dalla medesima in sede di anamnesi, garza lasciata in altre occasioni da altri operatori, etc..)».
Dai documenti di causa – proseguono i giudici – è emersa infatti consistente documentazione a comprova della responsabilità di tutta l’equipe operatoria (composta da due medici chirurghi, dall’odierno appellante quale infermiere strumentista e da una infermiera assistente di sala operatoria) che presso l’unità operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Melfi in data 5 settembre 2014 eseguirono l’intervento chirurgico di taglio cesareo su una paziente dimenticando, con grave disattenzione, nell’addome della donna una garza per effetto di una erronea “conta delle garze e taglienti”, così da determinarle lesioni interne talmente gravi da rendere necessario un ulteriore intervento chirurgico».
In primo grado il danno erariale ipotizzato, equivalente al risarcimento pagato alla donna per i danni sofferti, era stato addebitato all’equipe soltanto per la metà in considerazione del «concorso di colpa» della direzione ospedaliera, per non aver mai adottato e messo a disposizione un modello ad hoc per la conta delle garze.
Fonte: Il Quotidiano del Sud