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“San Fele. Frammenti di cultura popolare”: l’importanza  del tramando di usi, costumi, tradizioni popolari e proverbi sanfelesi, in un nuovo volume dell’ex Preside Pietro Fasanella

“San Fele. Frammenti di cultura” (Villani editore, Potenza, 2024,euro 15,00) è la continuazione del precedente ”Cose di casa nostra” e rappresenta una sorta di scrigno dei ricordi di Pietro Fasanella, ex Direttore didattico e poi Preside dell’Istituto Comprensivo di San Fele. Corredato da un notevole numero di foto di oggetti della civiltà contadina, collezionati dall’artista ed ex docente Bruno Di Giacomo, il libro, che racchiude migliaia di “frammenti di cultura popolare”, materializza una specie di vademecum olistico del dialetto di San Fele che, grazie alla preziosa fonte bibliografica costituita dai testi linguistici (tra cui il “Dizionario dialettale di San Fele” e “Onomastica e toponomastica di San Fele)  del compianto Prof. Alfonso Ilario Luciano, forniscono significati etimologici altrimenti perduti nel marasma della società attuale, purtroppo, poco attenta alle tradizioni e poco rispettosa dei valori veri del passato.

Il testo, freschissimo di stampa, di 162 pagine, è articolato in 30 capitoli, da leggere velocemente, dedicati  ad argomenti diversi, modi di dire, proverbi, massime dialettali, nomi, soprannomi (“a Mupё Murischё”, “u Marёnésё”  et al.), però interlacciati  all’insegna di un verismo verghiano ancorato alla realtà, a volte triste: ”  Sandfélё è u paisё du scunfuortё, o chiovё o tirё viendё o sonё a cambanё a muortё), pag. 82; altre volte giocoso: “Quannё avёtё nun hajё, curchёtё cu mёgliёrёtё”, pag. 84, ma sempre senza infingimenti. Tuttavia, ciò che impreziosisce questi “frammenti di cultura popolare” si sostanzia nella massiccia presenza di socioletti dialettali sanfelesi, spesso desueti, traslitterati secondo un particolare tipo di “Codice IPA”, con ricorso a segni diacritici di altre lingue nazionali (ad es. : ȅ,š, ḑ). Con questa raccolta di “short stories”, motti di spirito, etc. Pietro Fasanella intende far conoscere storie vere di uomini e donne del Novecento: testimonianze di cultura, tradizioni e comportamenti, forse definitivamente perduti, alla luce delle mode correnti importate da oltre oceano, e della secolarizzazione imperante nella nostra società, definita non a caso “liquida” da Zygmunt  Bauman.

Pietro Fasanella, non giovanissimo all’anagrafe, grazie all’esperienza del suo passato professionale, ha la piena autorità, con questa opera letteraria, di sferzare il lettore, specialmente quello più giovane, a “non fermarsi all’apparenza, non appagarsi mai, ma andare oltre il già acquisito (…)”.  Anche in questo caso, come in quello precedente, il registro linguistico usato nella narrazione è stato influenzato da Andrea Camilleri, in alcuni moduli espressivi, ma nella fattispecie è mediamente più alto rispetto al libro precedente: c’è stato un salto di qualità, grazie al maggiore impiego di sofismi e citazioni colte, accompagnate talvolta da note etimologiche, quasi a sfiorare una “ explanatio per argumenta exemplorum” di dantesca memoria. In ultima analisi, questa raccolta di aneddoti paesani di vita  contadina, testimonia ancora una volta l’amore per il passato non fine a se stesso, la cui rievocazione scritta è auspicabile che  possa suggerire, soprattutto  alle nuove generazioni, modifiche comportamentali più etiche e ricche di valori veri, non fittizi e virtuali, se non si vuole cadere nel baratro, o peggio, nel “buco nero” dell’esistenza. Accogliamo, quindi, e meditiamo sulle considerazioni di Pietro Fasanella, che, a bordo della sua ideale “macchina del tempo”, ci porta a spasso tra passato e presente, per offrirci, sotto traccia, un confronto comparativo a 360° tra il mondo di ieri e quello di oggi. Qualcuno, a questo punto,  valuterà, sbottando d’impeto: “Si stava meglio, quando si stava peggio!” Forse!

Prof. Domenico Calderone

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