Il Prodotto interno lordo (Pil) della Basilicata è ben lontano da quello delle regioni del Nord ma è il primo nell’area del Mezzogiorno. E la provincia di Potenza, quanto a produttività del lavoro, si colloca al 27esimo posto in Italia, prima al Sud. E’ quanto emerge da uno studio della Cgia.
Ogni giorno il nostro Paese – spiega l’associazione degli artigiani e piccole imprese -produce 5,8 miliardi di euro di Prodotto interno lordo (Pil) che, convenzionalmente, è misurato attraverso la
Dal confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea scontiamo un gap importante, soprattutto nei confronti dei Paesi del Nord Europa. Se in Lussemburgo la ricchezza giornaliera per abitante è di 336 euro, in Irlanda è di 266, in Danimarca di 179, nei Paesi Bassi di 164, in di Austria 149, in Svezia di 145 e in Belgio di 140. Tra i 27 Paesi dell’UE con 99 euro ci collochiamo al 12° posto.
In primis va sottolineato che i Paesi con pochi abitanti, ma con una presenza importante di big company e di attività finanziarie, presentano tendenzialmente livelli di ricchezza nettamente superiori agli altri. In secundis va segnalato che l’Italia è un Paese che non dispone più di grandissime imprese e di multinazionali, ma è caratterizzato da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da micro e Pmi ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività non elevatissimi, eroga retribuzioni più contenute delle aziende di dimensioni superiori – condizionando così l’entità dei consumi – e presenta livelli di investimenti in ricerca /sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive.
Al netto dell’inflazione, in questi ultimi 30 anni le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste al palo, mentre in quasi tutta Ue sono aumentate. Tra le cause del risultato italiano sono da annoverare la crescita economica asfittica e un basso livello di produttività del lavoro che dal 1990 ha interessato il nostro Paese, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle cause di questo risultato va ricercato anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali competitori europei, in questo ultimo trentennio la competitività del nostro Paese ha risentito dell’assenza delle grandi imprese. Queste ultime sono pressoché scomparse, non certo per l’eccessiva numerosità delle piccole realtà produttive, ma a causa dell’incapacità dei grandi player, spesso di natura pubblica, di reggere la sfida innescata dal cambiamento provocato dalla caduta del muro di Berlino e da “Tangentopoli”.
Sino agli inizi degli anni ‘80, infatti, l’Italia era tra i leader europei – e in molti casi anche mondiali – nella chimica, nella plastica, nella gomma, nella siderurgia, nell’alluminio, nell’informatica, nell’auto e nella farmaceutica. Grazie al ruolo e al peso di molti enti pubblici economici (Iri, Eni ed Efim) e di grandi imprese sia pubbliche che private (Montecatini, Montedison, Enimont, Montefibre, Alfa Romeo, Fiat, Pirelli, Italsider, Polymer, Sava/Alumix, Olivetti, Angelini, etc.), queste realtà garantivano occupazione, ricerca, sviluppo, innovazione e investimenti produttivi.
A distanza di quasi 45 anni, purtroppo – rimarca la Cgia -, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti i settori in cui eccellevamo. E ciò è avvenuto non a causa di alcuni avvenimenti “storici”: la caduta del muro di Berlino, ad esempio, ha riunificato l’Europa, ha riattivato i rapporti commerciali con i Paesi presenti oltre la “cortina di ferro”, spingendo fuori mercato molte delle nostre grandi aziende impiegate nei settori dove eravamo leader. Altrettanto dirompenti per il nostro Paese sono stati gli effetti provocati da “Tangentopoli” che hanno messo a nudo i limiti, in particolare, di molte imprese a partecipazione statale che fino allora erano rimaste attive grazie al mercato protetto in cui operavano e ai sostegni politici che avevano ricevuto dalla quasi totalità dei partiti presenti nella cosiddetta “prima Repubblica”.
Nonostante ciò, in questi ultimi 30 anni l’Italia è rimasta tra i paesi economicamente più avanzati del mondo e questo lo deve alle sue Pmi che, tra le altre cose, continuano a “dominare” i mercati internazionali.
PIL, BASILICATA PRIMA AL SUD MA BENE ANCHE LA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO
In termini di produttività del lavoro, misurata rapportando il valore aggiunto (Pil al netto delle imposte dirette) alle unità di lavoro standard (Ula), nel 2024 il dato medio Italia è pari a 77mila euro per Ula, ovvero 210,6 euro medi giornalieri. A livello territoriale la situazione più virtuosa si registra in Trentino Alto Adige con 253 euro al giorno per Ula. Questa regione del Nordest può contare su un Pil (o meglio valore aggiunto) di 52,4 miliardi di euro, su 556mila unità di lavoro standard e su una produttività annua per Ula di 92.595 euro. Seguono la Lombardia con 251,4 euro giornaliere per Ula, la Valle d’Aosta con 230,8 euro per Ula e l’Emilia Romagna con 226,6 euro per Ula.
Le realtà dove la produttività è più bassa, invece, le scorgiamo nel Mezzogiorno che, tendenzialmente, conta, rispetto al Centronord, un’economia meno contrassegnata dalla presenza di aziende manifatturiere e di attività creditizie/finanziarie/assicurative. Pertanto, chiudono la graduatoria nazionale la Sardegna con 165,7 euro giornaliere per Ula, la Calabria con 159,5 euro per Ula e la Puglia con 158,2 euro per Ula. Ma, anche qui, la Basilicata fa segnare 199,3 euro per Ula al giorno a fronte di una media del Mezzogiorno di 167,7 euro.
Sempre in tema di produttività del lavoro, a livello provinciale spicca la performance dell’area metropolitana di Milano che nel 2024 ammonta a 282,9 euro giornaliere per Ula. Seguono Bolzano con 257,8 euro giornalieri per Ula, Lodi con 253,3 euro per Ula, Trento con 247,4 euro per Ula e Cremona con 246,1 euro per Ula. In fondo alla classifica nazionale, invece, si collocano Benevento e Barletta-Andria-Trani entrambe con 146,7 euro per Ula e, infine, Ragusa con 138,5 euro per Ula. Ma Potenza (27esima) fa registrare 318,0 euro, al di sopra della media nazionale di 210,6 euro.
Fonte: Quotidiano del Sud