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Sanità, dalla Cardioanestesia di Potenza importanti contributi alla prima terapia al mondo per prevenire l’insufficienza renale acuta, pubblicati sul New England Journal of Medicine

Aor San Carlo, Spera: “Dalla Cardioanestesia di Potenza importanti contributi alla prima terapia al mondo per prevenire l’insufficienza renale acuta, pubblicati sul New England Journal of Medicine”

“L’Aor San Carlo di Potenza ha dato un importante contributo al ‘Protection trial’, uno studio internazionale che ha individuato la prima terapia in grado di prevenire l’insufficienza renale acuta (IRA) nei pazienti sottoposti a intervento cardiochirurgico con bypass cardiopolmonare”. Lo annuncia con soddisfazione il direttore generale dell’Aor Giuseppe Spera sottolineando come “questa sia una scoperta innovativa e rivoluzionaria a cui tutto il personale dell’unità operativa complessa di Cardioanestesia del ‘San Carlo’, diretta dal dottor Giuseppe Pittella, ha partecipato con grande capacità ed entusiasmo”.

Tra i principal investigators figura il dottor Gianluca Paternoster, cardioanestesista dell’ospedale ‘San Carlo’ di Potenza, che chiarisce “come la somministrazione endovenosa di aminoacidi può ridurre l’incidenza di insufficienza renale acuta post-operatoria; è la prima volta che si dimostra l’efficacia di una terapia nel ridurre il rischio di una complicanza che ha un grande impatto sulla sopravvivenza”.

Lo studio coordinato dai professori Giovanni Landoni e Alberto Zangrillo dell’Irccs ospedale ‘San Raffaele’ di Milano, in collaborazione con altri centri italiani ed esteri, è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM).

I ricercatori hanno analizzato oltre 3.500 pazienti adulti sottoposti a intervento di chirurgia cardiaca con bypass cardiopolmonare, dividendoli in due gruppi. Al primo gruppo di 1.759 pazienti è stata somministrata la terapia con aminoacidi per via endovenosa, ai restanti 1.752 è stato somministrato il placebo. L’IRA (insufficienza renale acuta) si è verificata in 474 pazienti del gruppo che ha ricevuto il farmaco (26,9 per cento) rispetto a 555 pazienti del gruppo che ha ricevuto il placebo (31,7 per cento), facendo registrare una significativa riduzione nella comparsa di questa pericolosa complicanza.

Si tratta del primo passo verso nuove strategie terapeutiche che potrebbero condurre a più ampi utilizzi di questa terapia migliorando la salute di milioni di pazienti ogni anno.

In allegato il frontespizio dello studio pubblicato sul New England journal of medicine

Per approfondire: link allo studio https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2403769

 

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