Melandro News

Memorie di un insegnante in pensione, che fanno, finalmente, luce su alcuni episodi controversi  accaduti “Durante la seconda guerra mondiale a Ruvo del Monte”, e l’eroismo di Francesco Germek

In quest’epoca dominata da una infodemia che disinforma sulle guerre in corso, grazie alla massiccia presenza di ultracrepidari nell’Informazione, c’è anche chi la guerra l’ha vissuta in prima persona e ne conserva la memoria storica, come il 92enne Vincenzo Sorrentino, insegnante in quiescenza, che ci ha fatto pervenire un testo di nove pagine, dove, con cognizione di causa, tenta di ripristinare la verità effettuale su episodi oscuri narrati finora con uno “storytelling” più vicino alla mitopoiesi che alla verità dei fatti.

Grazie alla sua testimonianza, infatti, veniamo a saperne di più sulla figura del mitico Francesco Germek (1887-1968): personaggio vittima dell’ingratitudine, al quale tutto il popolo ruvese dovrebbe essere grato, non solo la sig.na Arcangela che, quando ha potuto, ha lasciato pagata una “messa in sospeso” a beneficio dell’eroe sloveno. Sorrentino, infatti, esordisce scrivendo: <<Eravamo un gruppo di ragazzini a rincorrerci in Largo Sant’Anna, mentre alcune persone sedute sulle scale esterne della casa di Germek facevano dei commenti sull’imminente scoppio della guerra. E noi, incuriositi, lasciammo i nostri giochi (…). C’era  chi diceva che i tedeschi facevano bene se occupavano la Russia, dove si produceva tanto grano che, in gran parte, veniva trasformato in carbonella, da usare per il riscaldamento durante i freddi mesi invernali, e chi diceva che a Ruvo, durante la sera, avrebbero spento l’illuminazione pubblica perché gli aerei nemici, vedendo durante la notte il nostro paese illuminato, avrebbero potuto bombardarci. (…) E sul pianerottolo situato sulla sommità di questa piccola scalinata c’era Germek che ascoltava senza intervenire, trattenendo un sorrisetto quasi a significare che in quel parlare c’era tanta ignoranza e ingenuità.(…) Quello che mi diede certezza sulla guerra, fu l’incontro di noi ragazzi con i soldati tedeschi e, in seguito, il passaggio di numerosi stormi di bombardieri americani, e le battaglie aeree sul cielo sovrastante la montagna, a sud di Ruvo, in direzione di Castelgrande. (…) E in questo clima io ero mortificato perché non potevo conversare in lingua inglese ( lingua che parlavo bene sin da bambino, a New York). Durante le partite di calcio non dovevo dire gol ma rete, non dire corner ma calcio d’angolo; (…) non dovevo dire Halloween ma, in dialetto ruvese “cozza ri muort” >>.

Erano gli strumenti della propaganda, per convincere i ragazzi della necessità della guerra. <<A guerra inoltrata, gruppi di persone spesso si fermavano davanti al bar di Emilio Musano ad ascoltare alla radio il “Bollettino di guerra”. Mentre, in alcune case, delle persone ascoltavano con una certa prudenza, onde evitare di essere scoperte dalle autorità locali, Radio Londra. (…) Allora nei primi mesi del ’43 avevo quasi 12 anni. E così capii che le sorti del conflitto erano cambiate sfavorevolmente per noi italiani e per i tedeschi. (…) Un caldo pomeriggio, mentre io mi riposavo, udii un forte rumore proveniente dalla direzione di San Fele e poi un boato. (…) Oltre la fiumara del Bradanello era precipitato, tutto avvolto di fumo e fiamme, un caccia tedesco. (…) E noi ragazzi andammo proprio in quel luogo, ove vedemmo per terra dei rottami e più in là  delle persone del posto, tra cui don Michele, che aveva in mano un binocolo che aveva recuperato tutto intero tra i resti dell’aereo. Io raccolsi delle biglie di un cuscinetto e un bossolo di mitragliatrice inesploso. Si seppe poi che il pilota si era salvato>>. Il racconto in prima persona continua poi dicendo: << Una sera, a tarda ora, mi unii ad un gruppo di giovani che si recavano al largo, situato sulla sinistra della chiesa di Sant’Anna (…) e appena ci posizionammo all’inizio del pendio di quel luogo, udimmo il rumore di un aereo e subito si vide una enorme fiammata, seguita da un forte e prolungato boato. Qualcuno di quei giovani disse che quei bombardamenti notturni venivano effettuati

dall’aviazione inglese per colpire i punti nevralgici dell’Acquedotto Pugliese, per privare  dell’acqua tutta la Puglia, dove ancora c’erano i tedeschi>>. Ma il momento topico dell’intero racconto è rappresentato dal capitolo “Il furto di una parte del copertone e l’intervento di Germek”, dove finalmente si fa luce su un episodio che, nel corso dei decenni, varie fonti avevano narrato in un modo più vicino alla leggenda che alla realtà dei fatti. << Il mezzo incidentato era rimasto nella strada per tutta la notte. Ma la mattina seguente, venne notato da alcuni passanti, che il copertone di una ruota era mancante di una buona parte, poiché qualcuno era riuscito a tagliarlo ( allora, a causa della irreperibilità del cuoio, molti si facevano risuolare le scarpe con gomma ricavata da copertoni). Al loro ritorno, i tedeschi, che erano venuti  a riprendersi il mezzo incidentato, si indignarono molto. (…)  E per evitare un eventuale pericolo, alcune persone si diedero da fare, perché era necessario che ci fosse un buon  interprete della lingua germanica, onde poter parlare con i militari e placare la loro rabbia.

Fu interpellato Germek, il quale accettò con una certa titubanza questa proposta, temendo che si sarebbero potute scoprire le sue origini austriache e quindi essere considerato un disertore, durante la prima guerra mondiale, essendo nato nel 1887, a Villa Tupelce (attuale Tupelče, ndr), piccola località slovena vicina al confine italiano, e poi, dopo aver lavorato su un transatlantico del Lloyd emigrò negli USA, ove sposò una nostra compaesana e infine venne a stabilirsi a Ruvo. Allora Germek  si presentò ai tedeschi e (…) s’inventò una storiella: in paese c’era una persona un po’ squilibrata che dopo aver combinato delle stranezze, faceva perdere le sue tracce. E una di quelle stranezze era il furto del pezzo di copertone. (…) All’albeggiare di quella mattina era stato visto da alcuni contadini mentre dormiva sotto una quercia, tenendosi abbracciato all’oggetto della refurtiva. Aggiunse altri particolari  buffi su questo individuo e concluse:”ed in segno di amicizia, la nostra comunità vi prega di voler accettare un giovane suino”. I militari, dopo aver ascoltato, quasi divertiti, il racconto di Germek (in tedesco, ndr), mostrarono di gradire il regalo. E il loro umore nei nostri  confronti cambiò. E grazie a questo umile personaggio, nel nostro paese non ci fu alcuna rappresaglia: persona che rischiò molto e verso cui solo pochi compaesani furono riconoscenti>>.

Ringraziamo l’ins. Sorrentino per aver scelto le pagine di Melandro News per disambiguare, in “presa diretta” diacronica, la vexata quaestio/querelle intorno alla famosa storia  +/- romanzata del camion tedesco depredato dai ruvesi, che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime, esiziali senza l’intercessione decisiva, provvidenziale del povero Francesco Germek, slavo nativo dell’area dell’ex “Impero Austro-ungarico”, mandato, per l’appunto, dalla Provvidenza a salvare il piccolo borgo del  Vulture-Melfese, in procinto di saltare in aria. Grazie post mortem  e che la terra gli sia sempre lieve!

Prof. Domenico Calderone

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