Di seguito alcune recensioni sul disco: dal critico musicale e storico del jazz, il Prof. Pietro Mazzone: “un album di esordio, questo
Un talento che, certo, la scelta felice dei compagni d’avventura non fa che esaltare. Francesco d’Errico, in primo luogo, e il suo pianismo sorvegliato, vigile, intenso; i suoi arrangiamenti ricchi di pensiero, di riscrittura, per cui l’idea di fondo di questo progetto, rivisitare sotto forma di songbook un mondo espressivo e compositivo fra i più articolati e minuziosi – tra i più alti – del jazz novecentesco, riesce pienamente.
E poi, al sassofono tenore, Giulio Martino, maestro del sound misurato, di un’inventiva solistica sempre appropriata, infallibile nel cogliere e ampliare le ragioni più vere di un brano. La presenza del violoncello di Vito Stano sottolinea due richiami di questo disco: quello alla tradizione “with strings” del jazz (ascoltate la crepuscolare “We will meet again” o “Laurie” che chiude un’ideale prima parte dell’album con un brano di notevole intensità, con la formazione al completo, altro picco dell’album, in cui verso la fine il solismo di sax e cello si intrecciano) e quello a un camerismo tout-court: i trii per voce piano violoncello con cui vengono proposti alle ascoltatrici e agli ascoltatori “Blue in green”, “Beautiful love” e “Time remembered”.
Marco de Tilla, al contrabbasso, offre una prova di valore: il suo strumento, quando è presente, è il cuore pulsante di questo album e ammirevole è il suo assolo in “Interplay” (a proposito, in questo stesso brano Giulio Martino è al soprano, e il suo volo solistico è rimarchevole). La batteria di Marco Fazzari domina il “timing” di questi arrangiamenti con sottolineature di personalità, con una presenza discreta e dunque perfetta”.
Sul brano del disco “We will meet again” dice Bruno Pollacci, Direttore dell’Accademia d’arte di Pisa, critico musicale, ideatore e conduttore di “Anima jazz” di Punto Radio: “molti sono i pezzi interessanti in questo progetto discografico che meritavano di essere scelti per farli ascoltare al pubblico ma ho scelto “We will meet again” per una particolare ragione, la profondità sensoriale di questa interpretazione. La cantante riesce a farci partecipi della sua emozione, della sua concentrazione interiore, quindi con grande sensibilità è riuscita ad interpretare questo pezzo che è un’interpretazione che va oltre, sicuramente molto oltre il semplice compitino, non c’è la preoccupazione estetica ma c’è una preoccupazione veramente interpretativa interiore che riesce ad emergere in ogni momento, in ogni proposta di frase di questa canzone e sicuramente questo approccio sensoriale al pezzo, serio, profondo, sentito è condiviso da tutta la band che riesce a dare una prova in questo senso veramente magistrale, riuscendo a non invadere mai le performances vocali ma ad essere fortemente presenti con la drammaticità e la profondità interpretativa. Veramente un bel pezzo ed una validissima band”.
Ed ancora, la recensione di Guido Festinese, giornalista professionista, docente, saggista, scrittore e critico musicale che scrive su “Alias” de “Il Manifesto”: “in “Inside Evans Angela Covucci dedica al repertorio del gigantesco e sfortunato pianista tutto un disco, col suo contralto screziato di note amare, disilluse, ma pieno di armonici, alla Carmen Mc Rea: il contrario della leziosa lezione neoromantica che qualcuno potrebbe attendersi. Notevole il piano misurato di Francesco D’Errico e decisamente efficace il sax tenore hawkinsiano di Giulio Martino”.