Il ritorno del latino alle scuole medie? Sì, grazie, magari! Ma obtorto collo, non facoltativo

Quando, alcuni lustri fa, frequentavo la facoltà di Lingue e Letterature straniere, c/o l’Università degli  Studi di Salerno, rimasi felicemente stupito nel notare che nel programma del corso di Letteratura tedesca, la professoressa aveva inserito lo studio in lingua originale di una ventina di racconti dei fratelli Grimm. Gridai “evviva” e mi buttai a capofitto su quelle Mӓrchen, nella sana illusione di ritornare bambino. Molti anni dopo, li riproposi nell’edizione italiana ai miei alunni nella Scuola pubblica, e fu un successo straordinario. Ora, nel momento in cui le “Indicazioni Nazionali”, secondo il ministro Valditara, per l’anno scolastico 2026-27 prevedono, tra le altre novità, anche il ritorno del latino, ma solo opzionale, dalla II Media, il convitato di pietra non può fare altro che esultare moderatamente, visto che la lingua primigenia da cui discende il nostro italiano (abolita nel 1978), rappresenta la radice etimologica del nostro lessico formale ed informale, oltre che, ovviamente, la base della fraseologia aulica e di quella popolare: ragioni per cui il suo studio dovrebbe essere obbligatorio, imprescindibile, altrimenti il retropensiero di “lingua morta” ne  favorirebbe il suo boicottaggio.

Anche lo studio della Bibbia non è sbagliato, se inteso come motore culturale per combattere l’analfabetismo non solo di ritorno ma anche di andata (come fece Martin Lutero in Germania, nel XVI sec. per combattere il loro analfabetismo diffuso). Pensate, che in una recente puntata della trasmissione culturale di Rai 3 ”La biblioteca dei sentimenti”, alla domanda della conduttrice Greta Mauro ai compartecipanti del programma: “Chi di voi si ricorda quanti sono i giorni dell’anno?”, il noto paesologo Franco Arminio rispondeva deciso: “Io lo so: sono 330!”. E come se non bastasse, qualche giorno dopo, la (non il ) Presidente del Consiglio, accusata dalla stampa di non rispondere ai giornalisti, affermava davanti alle telecamere: “Non è vero che io sfuggo alle domande dei giornalisti. Ho fatto fare una stima dai miei uffici, ed è risultato che nel 2024 ho risposto a 350 domande, che fanno quasi 1,5 al giorno!” (sic!). Ma per salvare l’Italia dall’ignoranza che avanza,  occorre investire più risorse nella Scuola pubblica, non in quella privata, e formare ed arruolare docenti ad hoc, previa severa selezione. Contestualmente, visto che viviamo in una società sempre più multietnica, sarebbe cosa buona e giusta sostituire la classica ora di Religione con la più attuale “Storia delle Religioni”: aiuterebbe la convivenza tra culture diverse. Sbagliata, quindi, l’idea ministeriale di “abolire la Geostoria, per centrarla sull’Italia, sull’Europa, sull’Occidente e intendere la Storia come grande narrazione”.

Nell’epoca della globalizzazione forzata e della pericolosa intelligenza artificiale, è anacronistico far finta che gli altri non ci siano, cercando di ignorarli. La Riforma di cui sopra, sembra prevedere anche lo studio delle poesie ” mandandole a memoria”, nella Scuola Primaria, i cui obiettivi di apprendimento dovrebbero essere: “imparare a scrivere bene, attraverso semplici filastrocche e scioglilingua a memoria, ma anche primi  accenni di epica classica, mitologia greca e orientale e saghe nordiche” sic! Se le informazioni ricevute  dalla televisione e dai giornali sono queste, temo che ci sia un po’ di confusione tra gli esperti che hanno scritto queste bozze di “Riforma”. Perché, va bene imparare a memoria le poesie di Leopardi e Pascoli (tanto di cappello!), ma come si fa a parlare di “epica classica, mitologia greca e orientale” con bambini dai  6 ai 10 anni? E poi, in aggiunta, di cruenta mitologia nordica: dei Nibelunghi, delle Valchirie, di Beowulf et al.? Si tratta di argomenti di Filologia germanica che si studiano all’Università! Per favore, non scherziamo con il mondo infantile, specie nella delicata fase di psicosviluppo evolutivo! La didattica è un’arte seria che non si può fondare sulla paura. In un Paese dove non si sa nemmeno che l’anno ha 365 giorni (e, ad es., tutti dicono e scrivono: “i stati uniti d’America; mia mamma; ai bambini gli ho … ; a mia moglie gli ho …), sarebbe meglio ritornare piuttosto all’abbecedario e alla sana lettura di “Cuore” e “Pinocchio” di una volta. L’educazione e la grammatica ne guadagnerebbero e Jean Piaget, se fosse vivo, ringrazierebbe!

Prof. Domenico Calderone

4 comments

  1. Dr. Giuseppe Giannini

    Da un governo di estrema destra non mi aspetto nulla di buono. Esecutori dell’imperialismo internazionale si accaniscono all’interno del Paese anche attraverso il revisionismo, che ci rimanda al passato buio degli inizi del Novecento.
    La scuola, già falcidiata dalle pessime riforme dei governi precedenti, diventa il luogo dell’indottrinamento. Ben venga il latino, per far recuperare il gap conoscitivo generazionale, ma temo che esso diventi, al pari dello studio della Bibbia, lo stumento per trasmettere con la forza quell’idea identitaria che mira ad escludere. Hanno recuperato tutta una mitologia – il Futurismo, D’Annunzio, Tolkien – tipica delle indebite appropriazioni fasciste. La storia riscritta ad uso e consumo del potere reazionario (le foibe). La letteratura, che invece di esaltare le opere, magnifica le amiguità e le connivenze degli autori con i regimi dittatoriali. Penso a Pound e Celine. Invece, abbiamo bisogno di saperi e spirito critico.

  2. Prof.ssa Maria Muccia

    Il ritorno dell latino nelle scuole…… sicuramente alcuni esultano di gioia, ma chi? Quelli che sono rimasti nel campo e fanno della scrittura la loro vita? MI mortifica dover contrariare lo stimatissimo prof. Domenico, ma non posso tradire i miei principi. quelli che ogni giorno sono presi dai problemi di come affrontare la vita: cosa e come produrre beni per soddisfare i bisogni, quali le regole di vita da seguire, le malattie incalzano e non sempre ci sono i rimedi, i rapporti sociali sono sempre più confusi, e tanto altro….
    La cultura non necessita del latino per essere completa, visto che una lingua per parlare ce l’abbiamo, la nostra cultura scema di altre cose molto più importanti. Ci attacchiamo sempre alle radici, ma mai che pensassimo al futuro per progettare basi che assicurino vita lunga e serena all’uomo. Mai qualcuno che dicesse…. ma le leggi le conosci? Sai come comportarti quando vai a far la spesa? sai creare per offrire il meglio e per stimolare la creatività e la curiosità al fin di aprire menti che sappiano guardare oltre il proprio naso? Non possiamo ancorarci al passato e non stimolare la crescita. Significa aver paura di staccarsi dal cordone ombelicale! E’ come dire: voglio tornare bambino, allora si che ero felice e sereno, voglio riutilizzare il passato perché lo conosco, non voglio immergermi nel futuro, perché ignoto e ho paura. Il passato deve restare, ma come ricordo. Per conoscere bene la lingua italiana, non bisogna conoscere il latino, ma è necessario leggere tanto, testi sempre più complessi, in modo da arricchire il più possibile il proprio lessico, oppure prendere in vocabolario e fare “proprie” le parole di cui non si conosce l’esistenza. Vi assicuro che funziona. e’ vero che i ragazzi delle superiori arrivano con serie lacune linguistiche e molti giungono pure all’università con gli stessi problemi, ma ciò é dovuto al fatto che i ragazzi delle elementari non ripetono mai un anno per recuperare, come pure alle scuole medie e, non nascondo anche alle superiori, nella maggior parte, passando, quindi, anche all’università. questo è un dato acquisito di fatto e non lo si può negare, ma senza dar torto a loro, perché se lo si obbliga ad andare a scuola fino a vent’anni e ovvio che non ha imparato a fare altro e, quindi, continua per la stessa strada anche se si presenta tortuosa. Se i ragazzi, dopo le medie inferiori, scegliessero la loro strada, forse alle superiori arriverebbero solo il 50%, ma non è così, sono obbligati a continuare… gli alunni mancano e i posti di lavoro si riducono. Considerato ciò la Scrivente ricordava sempre ai suoi colleghi: ringraziateli per i sacrifici che fanno per tenervi il posto di lavoro. In Italia funziona così, purtroppo. E, poi, mica tutti stimolano allo sviluppo dei sette doni dello Spirito Santo, per chi crede, o ai sette doni di Mater Natura, non solo, e mica tutti sono ferrati di tali dono. Il problema più grave si ha quando si è convinti che tutti i ragazzi sono uguali: ho impiegato un anno e mezzo perché un’alunna si convincesse sulla diversità degli individui e, dopo tante discussioni aperte, un giorno lei stessa rispose: mica siamo tutti uguali! tutta la scolaresca rispose con un applauso – Aveva compreso finalmente-
    Al posto del latino inseriscano, piuttosto, l’educazione civica, e pure obbligatoria, perché sottrae tanto tempo a discipline che ne avrebbero bisogno di più alle superiori.
    In merito all’ignoranza dei numeri, negli umanisti, è un classico. I ragazzi, alle medie, vengono orientati al liceo scientifico o agli istituti tecnici, se bravi in matematica, agli istituti umanisti se conoscono l’italiano, il resto agli altri indirizzi. Tutto normale, secondo alcuni. Un problema di fondo sta nel fatto che i bambini arrivano a scuola già informato su molte cose, magari già sa leggere e scrivere, sa usare il cellulare, il computer ecc., perché i genitori sono quasi tutti diplomati o laureati e scaricano sui figli la loro cultura, considerandoli già adulti, ma è l’errore più grave perché il bambino deve giocare, e dal gioco che si impara tante cose., soprattutto l’autonomia personale e di pensiero. Poi gli stessi, arrivando alle superiori, sono stanchi, riemerge la parte soffocata, la voglia di tornare bambini. Qualcuno afferma che il popolo italiano è un popolo stanco, non ha quasi più motivo di esistere, è per quello che molti non proliferano nemmeno. Che orrore! Invito alla riflessione.

  3. Prof.ssa Maria Muccia

    Nel commento precedente si rilevano degli errori, ma sono convinta che il messaggio sia stato compreso. La lingua a questo serve. Resta, comunque, il fatto che conoscerla bene e presentarla con una bella grafia diventa una vera arte.

  4. Danila Marchi

    Il latino torna a gran voce nelle scuole. Sembra un’inversione di tendenza di quelle che, ciclicamente, capitano nella storia. Tutto va e tutto torna secondo un principio reazionario e conservatore che segue ad un altro periodo più innovativo e rivoluzionario. Anni fa il latino era una lingua eletta, scelta da chi intendeva approfondire il significato delle cose, delle parole attraverso gli studi classici, umanistici che aprivano ad un mondo di idee, di concetti con solide radici; per altri studenti, più tecnici e pragmatici, il latino era invece una nota dolente, la spina nel fianco, una lingua morta con la quale dover fare i conti a giugno o a settembre, una materia che “non serviva a nulla” se non a rovinarsi le estati. Ebbene ora entrambe “le fazioni” saranno accontentate con la possibilità di accedere agli studi della lingua, culla della nostra cultura, forza motrice delle nostre radici, soltanto se lo si desidera, se lo si ama perché si crede possa dare un valore aggiunto al proprio pensiero, un bagaglio di sapere del quale, in futuro, poter beneficiare. “Odi et amo. Quare id faciam, Fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.” Odio e amo. Perchè lo faccia, forse mi chiedi. Non lo so, lo sento e mi struggo…l’anima aggiungerei a questi bellissimi versi di Catullo che la conoscenza del latino aiuta a conoscere e a decifrare. Il latino lo si odia o lo si ama a seconda di ciò che si prova leggendolo, di ciò che si sente e che si crede. E’ uno stile vecchio e nuovo che torna, che rimane, che non passa mai di moda, perché i classici durano per sempre. “I’ mi son un che, quando/ Amor mi spira, noto e a quel modo/ ch’é ditta dentro vo significando”, secondo un dolce stilnovo che attraverso il tempo, lo supera e va e torna indietro sulla line del tempo, in letteratura e non solo, secondo un personale nonché universale modo di percepire l’amore che cavalca tutte le stagioni, tutte le mode in ogni epoca. Ciò che è vero, autentico non muore mai, lo si perde di vista per un po’, ma poi qualcuno se ne riappropria, lo riscopre e lo invoca cos’ come tutte quelle altre cose che danno alla vita un significato più profondo, e tutto torna nel vortice, al centro, nel ciclo della vita umana.

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