Autonomia differenziata: le ragioni per continuare a dire “No”

di Carmen D’Anzi

La bozza di Legge Quadro, presentata il 28 novembre scorso, dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, alle Regioni, contenente i principi per l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia (Art. 1) e le Modalità di definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) e degli obiettivi di servizio (Art. 2), dovrebbe regolamentare la procedura attraverso cui pervenire alle autonomie di cui al titolo V della Costituzione. Nonostante le rassicurazioni del ministro, secondi cui “l’attuazione del 116 comma 3 avverrà in un quadro di coesione nazionale”, forti dubbi permangono sulla determinazione dei LEP, equiparati a obiettivi di servizio, che saranno elaborati da una Commissione e resi noti  entro un anno dagli accordi governo-parlamento-regioni. Non sarebbe più giusto, ci chiediamo, aspettare la definizione di LEP e fabbisogni standard e poi sottoscrivere gli accordi? E quale ruolo avrà il Parlamento alla luce dell’art. 1 co. 2, secondo cui l’accordo sottoscritto sarà sottoposto al parere non vincolante delle commissioni parlamentari?  Potrà apportare delle modifiche nel merito ai testi degli accordi?  Nelle intenzioni del titolare degli Affari regionali ci sarebbe l’intenzione di inserire la legge quadro nella legge di bilancio sotto forma di emendamento. Mentre quest’articolo è in stampa la discussione politica è rinviata a un vertice di maggioranza e le decisioni sono in divenire: tutti i partiti della maggioranza si sono espressi sull’inopportunità di inserirla nella manovra perché, dicono, vogliono esaminarla attentamente prospettando un percorso alternativo. Infatti nei prossimi giorni sono convocati i quindici saggi nominati da Boccia. Per quanto riguarda specificatamente la scuola il ministro Boccia ha dichiarato, durante le sue comunicazioni alla Commissione Affari Costituzionali, che non “esiste alcuna regionalizzazione della scuola né concorsi regionali, che la scuola è unica e la sua unità è scolpita nel contesto nazionale”.Tuttavia aggiunge “a margine” che si possono concedere ai territori ulteriori facoltà sulla organizzazione dei plessi (chiusura al di sotto di una certa soglia, ad es.) e che si possono prevedere concorsi con vincolo di residenza, per questioni di continuità didattica. Da una lettura più attenta della bozza Quadro emerge che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, la definizione dei Lep è affidata a un commissario ministeriale, sono previsti vincoli nei fondi ordinari nazionali a favore delle Regioni più svantaggiate e all’interno di queste a favore delle province più svantaggiate, sulla base di Lep uniformi in tutto il Paese, con denaro trasferito da chi ha di più a chi ha di meno. I LEP, nonostante siano passati quasi 20 anni dalla riforma del Titolo V, finora non sono mai stati determinati e, secondo noi, non costituiscono la garanzia della parificazione dei territori per quanto attiene all’esigibilità e all’esercizio dei diritti sociali; essi costituiscono solo la soglia-limite della disuguaglianza raggiungibile. Insomma verrebbe meno la tenuta del sistema Paese, emarginando i più vulnerabili e indifesi. A rompere il torpore nel dibattito politico e il colpevole silenzio mediatico intorno a questo tema ci ha provato l’Assemblea Nazionale “Per il ritiro di ogni Autonomia differenziata”, che si è tenuta a Roma il 29 settembre scorso e che ha dato origine al Coordinamento Nazionale per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata, a cui hanno partecipato, tra gli altri, i Comitati  di scopo territoriali, tra cui quello costituitosi in Basilicata.  Non a caso si parla di secessione dei ricchi[1]. Non potendo fare deficit, lo Stato ridurrebbe le risorse e i servizi per le regioni più povere. Ecco quindi che senza fondi da destinare alla perequazione fra le regioni più ricche e meno ricche, lo storico divario tra Nord e Sud si acuirebbe. La desertificazione delle risorse economiche si accompagnerebbe anche al grande tema dello spopolamento e a quello scolastico. Stando agli ultimi dati, nelle regioni del Sud si perdono il 70% delle iscrizioni del totale italiano e la Basilicata ha il primato negativo, poiché nello scorso settembre sono entrati in aula 1742 studentesse e studenti in meno. Anche la fotografia scattata dal Rapporto Svimez 2019 ritrae un forte rallentamento dell’economia meridionale, caratterizzata da sacche di crescente emarginazione e degrado sociale. Preoccupante anche il “drammatico dualismo generazionale”, con lo spopolamento dei piccoli centri e con la nuova migrazione meridionale fatta di giovani con elevati livelli di istruzione che lasciano la Basilicata per non tornare più. Questa accelerazione ci preoccupa: occorre più che mai diffondere consapevolezza e respingere questo disegno che frantumerebbe il Paese in tante piccole Italie in lotta tra loro e dove le disuguaglianze aumenterebbero. 

[1] *G. Viesti, Verso la secessione dei ricchi?, Bari, Laterza, 2019

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