Sicurezza e giustizia. L’esempio lucano come paradigma di uno Stato nell’ombra

I recenti dati statistici sulla diffusione della criminalità nel nostro Paese designano un quadro che lascia, per certi versi, sorpresi. Sorgono delle perplessità allorquando l’idea di sicurezza viene a cozzare con una percezione diversa della realtà. La paura nelle masse è un sentimento che si è accresciuto da circa un quarto di secolo. Moltplici i fattori. Da dopo l’11 settembre 2001 siamo immersi in quella società che Ulrich Beck ha chiamato del rischio. Eventi climatici estremi, la globalizzazione dell’economia, le migrazioni, le guerre e gli attentati. All’interno di un mondo sulla via del caos anche il crimine si è adeguato. Così alle tradizionali forme di reato, nuove e più sofisticate fattispecie delittuose hanno visto l’ingresso all’interno delle eistenze ipermediatizzate. E se i media vendono le notizie raccontandoci tutti i particolari (di parte) riguardanti un fatto di cronaca, ma quasi mai fanno luce sulle condizioni sociali, dall’altro i dati del Ministero dell’Interno da anni descrivono un trend in discesa. Per cui, puntare sulle politiche securitarie, con l’inasprimento sanzionatorio per quelli che l’élite considera comportamenti “scorretti”, giudicandoli emotivamente pari ad altre e più gravi situazioni è funzionale al gioco del potere. Basti dare uno sguardo al nuovo DDL sicurezza, che mira unicamente a reprimere il dissenso e le proteste. Un governo autoritario che disconosce il diritto. La questione sociale non interessa agli esecutivi al servizio del capitale globale. Provvedimenti che servono a garantire chi è già garantito. In quest’ambito gli apparati statali abusano di certi ruoli istituzionali ma non danno risposte ai cittadini che reclamano sicurezza personale, economica, inclusività ma anche giustizia. La certezza della pena messa in discussione da atteggiamenti ipocriti per i quali più che la forza del diritto vale il diritto alla forza.

Questi dati pubblicati confermano una situazione non preoccupante, ma per analizzare la quale bisognerebbe tener conto di diversi e molteplici fattori. Uno di questi è sicuramente quello non trascurabile delle omesse denunce. Guardando poi alla tipologia di reati in proporzione alla popolazione, si può evidenziare come la Basilicata, territorio vergine per alcune fattispecie delittuose, abbia visto crescere in concomitanza con lo sviluppo economico post Matera capitale della cultura, e le infiltrazioni delle criminalità di origine pugliese, fenomeni quali i furti nelle abitazioni o gli assalti agli sportelli bancari. In espansione e in comune con il territorio nazionale sono le truffe informatiche, le telefonate ai danni degli anziani,  la sottrazione di dati sensibili, i femminicidi, gli omicidi stradali, le risse ad opera di bulli frustrati e viziati. Al di là della distinzione tra reati verso la persona o contro il patrimonio, la percezione di insicurezza di tante persone, dovute al taglio decennale del welfare, con periferie e borghi spesso isolati e al buio, unita alla propaganda mediatica che si accanisce con i suoi demenziali programmi di cronaca verso episodi frutto della degenerazione sociale, serve a distogliere l’attenzione verso tutta quella tipologia di reati commessi da chi sta al vertice. Le statistiche dovrebbero riportare anche i dati relativi ai comportamenti illeciti commessi dal mondo politico, dell’imprenditoria, dalle banche. E qui parliamo di persone agiate che di certo non vivono ai margini (come causa di giustificazione ma sempre punibile) e che sottraggono risorse pubbliche destinate alla collettività. Tangenti, collusioni con ambienti criminali, morti bianche, caporalato, lavoro irregolare, strumenti finanziari tossici, truffe ai danni dei risparmiatori. Poi ci sono le furberie delle tanto esaltate star dello sport e dello spettacolo. Senza fare nomi e dagli anni ’90 che sappiamo di stilisti, calciatori, cantanti, tennisti ecc, famosi non solo per le loro prodezze ma anche per aver sottratto soldi al fisco, dichiarando il falso o spostando altrove la loro residenza. E noi continuiamo ad esaltarli come se il male venisse tutto dalla politica. Ci si indigna per le decine di migliaia di euro di stipendio dei politici ma nulla si dice se gli stessi personaggi si riciclano in tv dove prendono molti soldi in più, o dei cachet esorbitanti per le ospitate nei talk o nei programmi trash di intrattenimento. Parassiti pagati dai decenni dai contribuenti che hanno la faccia tosta di giudicare oltre il dovuto chi ad esempio occupa un immobile, senza distinguo per chi lo fa perchè sfrattato per morosità incolpevole o per altro motivo. I famosi giustizialisti verso gli ultimi che si scoprono garantisti quando ad essere toccati sono gli amici del proprio giro. E la storia italiana è piena di leggi ad personam in nome dell’immunità dei capi, e di condoni. Qual’è l’impatto di queste vicende sulla vita sociale? Purtroppo le varie riforme della giustizia si muovono tutte nella direzione dell’impunità verso i cd. colletti bianchi. Le prigioni, a parte qualche eccezione, sono piene di povera gente, di chi non ha i mezzi (culturali, economici) per vedersi garantito il diritto alla difesa, o perche è rimasto vittima dell’accanimento pregiudiziale di qualche magistrato o poliziotto in cerca di visibilità, o che addirittura è ancora in attesa di processo.

L’amministrazione della giustizia rimane dunque una questione delicata, sulla quale, da sempre, la classe partitica punta i fari per fini speculativi. Il crimine nasce con l’uomo, ma vedere onnipresenti sugli schermi delle tv i nuovi opinionisti strapagati, i criminologi appunto, non giova ad affrontare in maniera adeguata un problema che meriterebbe una trattazione seria e multidisciplinare.

a cura di Giuseppe Giannini

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