Crisi idrica in Basilicata, la richiesta di Setaro: “Riattiviamo la Diga di Muro Lucano”. Per la Cia “urgente nuova strategia comune contro siccità”

Continua a tenere banco in Basilicata la grave crisi idrica, con la Diga della Camastra ormai quasi al punto zero e i lavori per portare l’acqua dal fiume Basento che procedono senza sosta. Da Muro Lucano arriva la proposta del sindaco Giovanni Setaro, che ha inviato una missiva a Regione e Ministero per chiedere la riattivazione della Diga di Muro Lucano, capace di contenere 10 milioni di metri cubi di acqua.

“Insieme ai Primi Cittadini dell’Area Interna del Marmo Platano, in Conferenza dei Sindaci, abbiamo scritto – ha dichiarato Setaro – una missiva al Presidente Bardi, alla Giunta Regionale e al Ministro Gilberto Pichetto Fratin per chiedere la riattivazione della diga di Muro Lucano. Mai come in questo momento storico bisogna investire sull’oro blu con un’operazione lungimirante e necessaria a garantire nell’imminente futuro l’acqua alle nostre comunità. Siamo ben coscienti delle criticità presenti sull’invaso, ma siamo ancora più consapevoli delle soluzioni moderne e innovative che potrebbero portare una risposta vitale ad un intero territorio”.

Il Sindaco Setaro ha continuato: “La Diga di Muro Lucano nasce nell’ambito di uno straordinario progetto di politica energetica e di sviluppo economico pensato per il Sud Italia da Francesco Saverio Nitti, vantando una illustre storia che affonda le sue radici tra il 1911 e il 1914. Inoltre, esso costituisce il primo lago artificiale del meridione italiano, atto a rifornire, a pieno regime, elettricità a diversi comuni del potentino e non solo. Si tratta di un vero e proprio fiore all’occhiello dell’intera Regione, che meriterebbe, al netto delle evidenti necessità, una maggiore attenzione. Servono coraggio e visione, doti che non mancarono all’allora Ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Nitti”.

Per la Cia Basilicata, servono invece “visione, programmazione e cabina di regia unica per invertire la marcia sulle risorse idriche e dare il via a nuove politiche infrastrutturali, partendo prioritariamente dalla messa in sicurezza delle aree più esposte al rischio di alluvione o di siccità con priorità a quanto sta accadendo in Basilicata. Questo il messaggio lanciato dal convegno “Acqua: le nuove sfide da affrontare in agricoltura” organizzato da Cia-Agricoltori Italiani, in collaborazione con Anbi, a Bologna. 

Per i problemi di emergenza idrica che vive la nostra regione è stata un’occasione per mettere nero su bianco, con le istituzioni e il mondo accademico e della ricerca, i dati sulla crisi climatica e ripensare proposte e soluzioni più moderne ed efficienti. In Basilicata, l’acqua presente nei serbatoi è solo il 15% di quella invasabile; a seguito di un’ulteriore riduzione di oltre 5 milioni di metri cubi il gap con il 2023 è salito a quasi 150 mln. mc.

Negli ultimi 5 anni, in Italia, piogge intense e grandinate sono cresciute fino al 400%, investendo soprattutto il Centro-Nord, mentre in regioni come la Basilicata e Sicilia le precipitazioni attualmente sono decisamente al di sotto della media degli ultimi 20 anni, sino al 50% in meno. Senza contare che proprio l’Italia, con oltre 90 miliardi di euro di danni subiti in 40 anni, risulta uno dei Paesi più martoriati da eventi metereologici estremi.

“Lo squilibrio climatico, troppa acqua o troppo poca, ha generato zone fragili che oggi sono a rischio abbandono -ha detto il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini-. Per questo dobbiamo mettere in campo una strategia comune e integrata per tutelare un bene prezioso come l’acqua, salvaguardando al contempo agricoltura e territorio”. In questo senso, secondo Cia, ci sono almeno cinque azioni da adottare con urgenza: dare priorità negli interventi di messa in sicurezza alle zone a più alto rischio naturale; definire e avviare subito un nuovo Piano nazionale per la crescita dei grandi invasi da considerarsi integrati, e non alternativi, ai piccoli invasi; accelerare sul riutilizzo delle acque reflue, favorendo gli investimenti e le infrastrutture necessarie al riuso agricolo; approvare finalmente una legge contro il consumo di suolo agricolo, visto che si continua a cementificare 2,4 metri quadrati di suolo al secondo; incentivare le funzioni di custodia e manutenzione del territorio svolte dagli agricoltori attraverso un quadro normativo chiaro e definito. “Tenere i produttori nelle aree rurali e interne -ha ribadito Fini- significa difendere l’agricoltura Made in Italy, evitare lo spopolamento e, soprattutto, prevenire il dissesto idrogeologico”.

E un ruolo essenziale nella gestione delle risorse idriche è sicuramente quello dei Consorzi di Bonifica, come ha spiegato il presidente nazionale dell’Anbi, Francesco Vincenzi: “L’acqua non è più solo un problema dell’agricoltura, oggi la sua gestione riguarda tutti, perché è legata alla sicurezza dei territori. Questo significa fare un passaggio culturale importante e smettere di lavorare solo sull’emergenza, ma cominciare a pianificare”. Per Anbi, insomma, di fronte ai cambiamenti climatici bisogna agire subito con opere di adattamento e manutenzione ordinaria e straordinaria, quindi programmare nuovi impianti idrovori per sostituire in alcune zone strutture obsolete non più adeguate al presente, anche utilizzando pienamente le risorse europee. “Siamo fermi all’11% di acqua trattenuta, contro il 35% della Spagna e di altri Paesi Ue -ha aggiunto Vincenzi-. L’acqua deve diventare un elemento di competitività per il nostro agroalimentare, riducendo le tempistiche e usando meglio digitalizzazione e innovazione sui cantieri. Certamente il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (PNIISSI), che prevede investimenti di 10 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, potrebbe portare avanti l’Italia con una visione di medio e lungo termine progredita ed efficace. Ma dobbiamo essere uniti e lavorare insieme”.

Una sfida già raccolta da Cia: “Se dobbiamo pensare al futuro dell’Italia, dobbiamo attrezzarci per aumentare la sicurezza idrogeologica e le riserve idriche -ha concluso Fini- e vogliamo farlo con l’Anbi, che è il primo patrimonio comune di noi agricoltori”.    

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