Sanità, in cinque anni andranno in pensione 750 infermieri e 325 medici in Basilicata. Per la UIL “sistema sanitario vicino al punto di non ritorno”

Tra il 2026 e il 2030 in Basilicata usciranno dall’attività professionale per la pensione 325 medici e 750 infermieri riducendo considerevolmente l’attuale platea che sempre in Basilicata ammonta a 931 medici e 2.646 infermieri. È quanto emerge dallo studio condotto dal Servizio Stato sociale, Politiche fiscali e Previdenziali, Immigrazione della Uil, diretto dal segretario confederale Santo Biondo con la conclusione che nei prossimi anni il numero di medici e infermieri che andrà in pensione sarà di gran lunga maggiore di quello dei potenziali nuovi assunti.

“Il sistema sanitario regionale e nazionale – è il commento congiunto del segretario confederale Santo Biondo e del segretario regionale Basilicata UilFpl Antonio Guglielmi – è prossimo al punto di non ritorno: senza misure strutturali e lo sblocco dell’imbuto formativo, la carenza di professionisti nella Sanità sarà cronica, a danno del diritto alla salute dei cittadini”.

Utilizzando i dati forniti dal Ministero della Salute e dal Miur, la ricerca ha messo a confronto il numero di medici e infermieri che concluderà la propria carriera tra il 2026 e il 2030 con il numero di nuovi posti banditi annualmente dal Miur. I risultati sono decisamente preoccupanti. Per quanto riguarda gli infermieri, quelli attualmente impiegati in Italia sono 268.013, con un’età media di 46,9 anni. Pertanto, abbiamo potuto stimare che, tra il 2026 e il 2030, ad invarianza di legge in tema di quiescenza, i professionisti che andranno in pensione saranno 66.670, ossia 13.334 l’anno. Parallelamente, nello stesso quinquennio, saremo in grado di formarne, e quindi di assumerne, solo circa 3.000 l’anno, con un rapporto tra percorsi universitari conclusi, e infermieri che cessano l’attività annuale di -10.334 professionisti.

Una stima per giunta ottimistica, se consideriamo che le immatricolazioni ai corsi di laurea in scienze infermieristiche si sono ridotte di oltre il 50% e che i concorsi si svolgono con un numero di partecipanti inferiore ai posti disponibili. Il quadro rimane altrettanto critico per il profilo professionale dei medici. Sempre dai dati forniti dal Ministero della Salute, attualmente i professionisti in forza sono 101.827, con un’età media di 52,7 anni. Ad invarianza di legge in tema di quiescenza, sempre, secondo le nostre stime, tra il 2026 e il 2030 andranno in pensione 35.600 medici, 7.120 l’anno.

Nello stesso arco di tempo, considerata la media delle borse di specializzazione bandite complessivamente dal Miur negli ultimi tre anni e ipotizzando che tutte vadano a buon fine, saremmo in grado di assumere solo 1.833 nuovi medici specializzati l’anno, con un rapporto negativo tra borse bandite e medici che cesseranno di esercitare, per la precisione pari a -5.287 professionisti l’anno.

Peraltro, la recente riforma che elimina il test di accesso alla professione medica – si sottolinea da parte della Uil –  produrrà, potenzialmente, i suoi primi effetti solo tra 6-7 anni, e resta irrisolta, comunque, la questione del ristretto numero di accesso alle specialistiche che risultano ad oggi più carenti e meno valorizzate. Ciò che pesa sul futuro delle professioni sanitarie è questo imbuto formativo che, insieme alle scelte del governo, frena l’ingresso di nuove forze nel settore sanitario, rendendo cronica la carenza di queste figure professionali specializzate.

La carenza di personale sanitario – sottolineano Biondo e Guglielmi – è quindi un dato conclamato. Se ne discute da qualche anno, nel dibattito politico e non solo, ma senza l’avvio di soluzioni strutturali e di qualità. Lo stesso avviene da parte delle Regioni.

Il governo non solo non ha mantenuto la promessa di togliere il tetto alla spesa del personale sanitario, ma – aggiunge Biondo – continua imperterrito con interventi inadeguati che non rispondono ai bisogni strutturali del nostro sistema sanitario. I finanziamenti indiscriminati alla sanità privata o il ricorso ai gettonisti sono “non soluzioni” che finiscono per creare maggiore confusione nei percorsi assistenziali e per ridurre la qualità dell’assistenza sanitaria. Per rendere attrattive le professioni sanitarie e irrobustire il servizio sanitario nazionale – ha rimarcato Biondo – c’è molto da fare. Occorre migliorare l’organizzazione del lavoro, definire chiari percorsi di crescita professionale, adeguare gli stipendi degli operatori sanitari alla media europea, incentivare economicamente e fiscalmente i professionisti che lavorano in sedi disagiate, favorire il benessere lavorativo attraverso il potenziamento del welfare aziendale e garantire la sicurezza e salute del personale sanitario. E da questa prospettiva purtroppo – ha concluso il dirigente della Uil – le scelte del governo rappresentano un’occasione persa per il raggiungimento di questo obiettivo di valenza sistematica.

Lo rende noto la UIL in una nota stampa.

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